giovedì 1 dicembre 2016

Èstupefacente come in un'epoca di trasformazioni così rapide che rendono impossibile una coscienza analitica che le accompagni, la persistenza di categorie obsolete continui pervicace e insistentemente dannosa. Due ordini di problemi: uno, il totale distacco dalla realtà della conoscenza così come si è sviluppata oggi. Due il mantenimento di un piano di riflessioni che proprio perché basate su categorie superate o rivelatesi infondate è totalmente fuorviante. Penso all'annosa questione dell'arte che riguarda figura e astrazione. Categorie così superate da non soddisfare più alcun dibattito serio che riguardi la contemporaneità. Non sono tanto le categorie, è proprio la prospettiva che è errata. Tutte le acquisizioni, derivanti anche dall'esperienza digitale, dicono non tanto che non ha più senso parlare di figurazione e astrazione, ma che le due categorie stesse non esistono. Esattamente come corpo e spirito. Manifestazione estetiche dell'ethos che differiscono non nell'essenza, ma nella sintassi della forma, con peculiarità che non attengono alla sostanza, per sua natura unitaria. Non si tratta di piccoli aggiustamenti da fare. È l'impianto stesso della conoscenza che va rigenerato. Un esempio, in generale e in relazione col sacro. Proliferano dibattiti che si interrogano su quali percentuali di figurazione e astrazione siano consone a rappresentare la spiritualità, il concetto, la presenza e così via. Per cominciare già l'idea che il senso risieda nella tematica della rappresentazione è falsa. E per rappresentazione intendo anche l'astrazione ovviamente. Il senso risiede nella vibrazione, nella struttura intima del linguaggio e non nel risultato apparente della forma finale. Qualunque essa sia, comunque essa sia, la sua forza non sta nella somiglianza a forme prestabilite o rigidità stilistiche. Astrazione e figurazione sono categorie create ad hoc, forse adatte a un ambito didattico elementare nel passato. Ogni forma è al tempo stesso figurativa e astratta, perché è parte di una unità che non conosce queste piccole scatole di stilemi dove cerchiamo di consolidare false sicurezze, cattedre accademiche, piccoli regni posticci e quiete dello spirito. Tutto è adatto a parlare dell'uomo, della spiritualità, della sacralità, per il semplice fatto che tutto è al tempo stesso spirito, uomo e sacro. Sono altre le categorie che fanno la differenza. Intensità, vibrazione, proprietà intrinseche alla stessa sostanza della scrittura e non esterne. Io vedo in questa congiuntura una grande possibilità, una vera alba dell'uomo di cui siamo testimoni e possiamo essere attori. Per alcuni invece è un oscuramento, una congiuntura nefasta, una eclissi, l'armageddon. Per costoro la contemporaneità dovrebbe essere esclusivamente la loro, gestibile e amministrabile secondo principi di rendita di posizione e di buona pruderie borghese. E invece è sorpresa, spiazzamento, sbilanciamento, inquietudine. Vedere l'oscurità in tutto questo dipende solo dalla poca disponibilità, dall'energia che manca, dall'assenza di quella gioia che permette di affrontare il nuovo con spirito rinnovato e aperto e anche dall'incapacità di vedere oltre. Chi non ha paura di rimettersi in discussione, chi è cosciente che la vitalità del cammino dell'uomo risiede nel suo costante ridefinirsi, chi non ha quello sguardo di diffidenza che è profondamente anti-umano, ha oggi la possibilità di contribuire al fiorire di una visione che certamente ci avvicina alla speranza di un compimento possibile.
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