mercoledì 24 maggio 2023
Don Leonardo, parroco della Collegiata di Lugo, aveva la voce rotta dall’emozione quando giovedì ha celebrato la messa e la sua predica è diventata virale su You Tube, con la domanda: «E ora cosa possiamo fare?» Era la stessa di don Camillo al Gesù Crocifisso che lo rimbrottava quando gli aveva sentito esclamare: “Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?». Al che Gesù gli risponde: «Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile?». E sul tema dell’agire – ricorda don Leo – il Gesù di Guareschi dice che bisogna fare «ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà... Bisogna salvare il seme: la fede». In questi giorni ho chiamato i miei amici della Romagna dei vari paesi. E lo scenario mi è parso più grave di quando nel 1994 l’alluvione arrivò nel Basso Piemonte, anche nella mia casa. Di allora ricordo la straordinaria catena di solidarietà, che anche stavolta s’è manifestata in Romagna, nonostante l’Istat registri che i volontari nelle associazioni siano diminuiti di un milione dal 2015. David e Vittorio Navacchia della cantina Tre Monti di Imola persero il padre Sergio, un anno fa. E una delle ultime opere che volle fu il rifacimento dei fossi e la pulizia dei drenaggi dell’acqua. Un lavoro costoso, che i suoi figli quasi non comprendevano, a fronte di anni di siccità. Ma in questi giorni hanno toccato con mano l’efficacia di quella cultura del custodire la terra, che aveva il papà. Un’idea di custodia e non di possesso: non è poesia, ma capacità di scelta. Tant’è che ci può essere chi spende tempo e denaro per regimentare le acque e chi non ne vuole sapere, perché nella sua proprietà fa quel che vuole. Così, mi raccontano del Rio Sanguinario che è stato pulito solo da una sponda, dacché il proprietario dell’altra non ne voleva sapere di far togliere legna. Ma i vignaioli ora chiedono che i contributi siano indirizzati alla gestione delle acque, da una parte, con meno burocrazia dall’altra, che impedisce persino l’estirpazione dei rovi. E poi sarebbero da inasprire le sanzioni per chi con la sua inerzia impedisce un’essenziale cooperazione, oggi quanto mai necessaria, per salvare i nostri territori dominati sempre di più dalla fragilità. © riproduzione riservata
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