martedì 3 febbraio 2015
Lo stadio di Reggio Emilia, dove gioca il Sassuolo, ha un nome ch'è tutto un programma - “Città del Tricolore” - per via di quell'evento che un tempo si mandava a memoria con le parole di Carducci nella celebrazione dei cent'anni della bandiera biancorossoverde nata in quella “Reggio animosa e leggiadra” il 7 gennaio del 1797. Perdonerete l'excursus non dotto ma nostalgico suggerito dal confronto fra Sassuolo e Inter serenamente vinto dagli italo/emiliani, malamente perduto dagli esotici nerazzurri con vergognoso corollario di ingiurie fra giocatori e tifosi. Le cronache narrano di un dominio indiscusso del Sassuolo tutto “tricolore” (in formazione giusto un croato di passaggio) di Eusebio Di Francesco sulla BabelInter di Roberto Mancini, formata da pedatori di undici diversi Paesi e di altrettante culture e attitudini che non faranno mai squadra, assommando ai vecchi difetti - che Mazzarri andava faticosamente correggendo - un andirivieni di stelle cadenti e talenti bolliti che hanno trasformato la Beneamata in un Grand Hotel. Le cronache sportive lamentano ogni giorno la povertà del nostro calcio e in tempi di malomercato sparano nomi esotici spesso privi d'identità tecnica, quando in realtà è proprio l'antica scuola nostrana che produce il miglior gioco con Sassuolo e Empoli, alfieri di un rinnovamento tattico che andrebbe studiato insieme a Sarri e Di Francesco. E per fortuna i disagi economici suggeriscono ripescaggi italiani (Diamanti e Gilardino alla Fiorentina, Matri alla Juve) in luogo di sperperi stranieri: fanno vistosa eccezione il bizzarro Ferrero- che chiama alla Sampdoria Eto'o cedendo a De Laurentiis il prodigioso quanto modesto Gabbiadini che aiuterà il Benitez pentito a conquistare il secondo posto - e il Garcia confuso che spedisce Destro al Milan e si rinforza (?) con Ibarbo e Doumbia.Gli innesti invernali fanno titoli ma raramente fanno calcio, soprattutto se suggeriscono cambiamenti continui senza la necessaria sperimentazione che assicuri affiatamento e continuità. Mancini si vanta di non pensare “all'italiana” ma i fatti dicono che non ha ancora pensato come ridare dignita' a una squadra smarrita; piace invece la ricetta furbescamente inventata da Mihajlovic, deciso a risolvere i guai della Samp con pesanti sessioni di lavoro. Lavorare e' un metodo vincente piùdi qualsiasi altra formula (Sinisa ne ha elencate sette, dal 4-3-3 al 5-3-2). La Juve che Allegri ha ereditato dal Conte Furioso lavora, forse fino a stancarsi, ma intanto si apre le porte d'Europa e insegue il quarto scudetto consecutivo. All'opposto, il Milan di Inzaghi si carica di pedatori nuovi, spesso gente che non sa soffrire, finchè non trova la soluzione dei problemi nei piedi di un operaio specializzato, il Cristian Zaccardo già campione del mondo a lungo dimenticato negli spogliatoi.
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