giovedì 18 maggio 2006
Nel pudore che vieta di parlare ad alcuno dei propri stati più intimi c"è un avvertimento dell"anima: in ogni confessione, in ogni descrizione s"insinua facilmente un travisamento, e le cose più delicate e indicibili decadono in un batter d"occhio a volgarità. Lo scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal annotava questa osservazione un secolo fa nel suo Libro degli amici (Adelphi 2003) e diceva una verità di cui siamo testimoni sconcertati ai nostri giorni. L"impudenza con cui in televisione, sollecitati dal ghigno morboso del pubblico e del conduttore (o conduttrice), molti sono pronti a ostentare senza pudore «i propri stati più intimi», genera quella volgarità e quella spudoratezza che ha ormai intaccato tutto lo stile delle relazioni umane. Abbiamo usato il termine «pudore», un vocabolo ormai desueto soprattutto nel comportamento.Certo, esso è anche questione di decenza solo esteriore. Ebbene, pure in questo caso, con la scusa banale di superare complessi e inibizioni, si è arrivati a trivialità e a sconcezze sguaiate. Ma c"è soprattutto la perdita della dignità interiore. Il filosofo inglese Francesco Bacone notava che «la nudità è sconveniente nell"anima come nel corpo»; c"è, dunque, un"oscenità anche nell"ostentazione della propria stupidità, della brutalità, della vanità, della miseria morale e della perdita di decoro e onore. Bisogna, allora, ritessere uno stile di vita, riappropriandoci di quelle virtù ormai dimenticate e calpestate che sono la prudenza e la temperanza. È necessario conoscere ancora la capacità di arrossire, di avere rispetto di sé, di esercitare il controllo sulle pulsioni primordiali, di ritrovare almeno una traccia di discrezione, riservatezza e misura.
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