martedì 10 gennaio 2006
 L'eterno progresso spirituale non ha niente da vedere con la volgare ricerca del piacere e della felicità; tanto che si potrebbe, se così piacesse, definirlo un progresso nel sempre e più alto e più complesso dolore umano.   Ho avuto la fortuna di incontrare il nostro presidente della Repubblica un paio di volte e di aver potuto parlare con lui, con gusto, di alcune figure che hanno segnato la cultura italiana del "900. È stato, così, per merito suo se ho letto alcuni testi di un autore che per me (come per molti altri) era legato solo a frammentarie memorie liceali, Benedetto Croce. Oggi è questo filosofo a offrirmi uno spunto di riflessione, attinto al saggio La storia come pensiero e come azione (1938). Il tema è importante: sotto il manto della parola «progresso» si annidano, infatti, molte ambiguità tant"è vero che un altro pensatore, il francese Henri Bergson, non temeva di dire che «l"umanità geme, per metà schiacciata sotto il peso del progresso che ha fatto».Croce in modo provocatorio spazza via l"idea che il vero «progresso spirituale» possa identificarsi con un mero avanzamento nel benessere, quasi che «piacere e felicità» siano automaticamente indizio di evoluzione, di perfezionamento, di sviluppo dell"essere umano. Anzi, il filosofo fa balenare l"idea che sia, invece, l"oscura fucina del dolore il luogo privilegiato ove si forgia l"autentico avanzamento dell"uomo verso una più alta maturità e ricchezza interiore. Ed effettivamente la scuola della prova, nella vita di una persona e di una società, diventa una sorta di collaudo per crescere e trasformarsi. Saul Bellow, scrittore americano (1915-2005), non esitava ad affermare che «il dolore è forse l"unico mezzo valido a rompere il sonno della ragione».
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