sabato 29 ottobre 2011
Anni fa nel nostro paese c'erano molti esemplari curiosi di umanità. Ora, invece, i giovani sembrano essere pappagalli spaventati a morte di non essere tutti uguali. Una volta, invece, la gente pregava di avere il vantaggio di essere un po' diversa.

È sorprendente sapere che questa osservazione usciva dalla penna di una scrittrice dell'Ottocento. Per la precisione siamo nel 1896, col romanzo Il paese degli abeti aguzzi di Sarah Orne Jewett. Lo ritrovo tra i miei libri, lo sfoglio per curiosità e trovo segnato proprio questo passo che, comunque sia, non è da applicare solo ai giovani di oggi ma un po' a tutti noi, intatto nel suo valore. Si cerca freneticamente di essere diversi e difformi rispetto agli standard, scegliendo la via dell'eccentricità, del linguaggio sboccato, dell'anticonformismo a tutti i costi, rasentando la bizzarria. In realtà, si sa bene che questo comportamento è comandato dall'alto, a partire dalla pubblicità che codifica simili stravaganze e produce torme di replicanti, votati alle stesse mode, agli identici tic, a uguali abbigliamenti.
È l'imitazione di uno stile di vita che è imposto, secondo generi ed età, da una comunicazione sociale imperante e imperiosa. Ne fa le spese il povero pappagallo, il quale in realtà agisce secondo natura, ma che sembra lo stemma dell'attuale massa. «A tanta gente – scriveva nei Grandi cimiteri sotto la luna Georges Bernanos – occorre un certo numero di luoghi comuni da ripetersi scambievolmente come pappagalli, coi movimenti affettati, gli impettimenti e le strizzatine d'occhio di quell'uccello». Raccogliamo, allora, l'invito della scrittrice del Maine a evitare di essere risucchiati dall'onda conformistica dell'anticonformismo e a custodire la nostra originalità, identità e individualità.
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