martedì 10 marzo 2015
Guardate la classifica: l'Inter ha 36 punti, il Milan 35. Ma quel punto di vantaggio dei nerazzurri ne vale dieci. Almeno sul piano dell'Immagine che oggi sappiamo valer tanto più del dato reale. In particolare a Milano, dove da mesi è in corso un doloroso derby, una interminabile partita a ciapanò che segnala una delle più grame stagioni del calcio meneghino. Mentre il pareggio raggiunto con fatica e fortuna dai nerazzurri a Napoli fa piovere sull'Inter titoli a dir poco entusiastici, come fosse una vittoria, il pareggio subito dal Milan a San Siro con il solito fatal Verona fa gridare allo scandalo, come la peggiore delle sconfitte. Con ribadite richieste di esonero di Inzaghi (e i critici che ne suggeriscono la conferma lo fanno quasi con pena per lo sciagurato Pippo) e poderosi accenti positivi per le imprese dell'illuminato Mancini. L'inspiegabile ondulatorio atteggiamento della critica e dei tifosi potrebbe in realtà spiegarsi con l'immancabile ricetta, “questo è il calcio, bellezza”, ma la risposta più attendibile sta in una parola: fiducia. E chi non ce l'ha non può darsela. Mancini vuol dire fiducia, Inzaghi vuol dire scoramento, anche paura. Coinvolte nella sfida, in termini paradossali, anche le due antiche gloriose società. Improvvisamente il sempreridente e apparentemente fragile Thohir - affiancato dal Moratti pentito - offre più sicurezza, e fiducia, del mitico tycoon Berlusconi Silvio, le cui magìe sono svanite dal giorno in cui per capriccio pseudotattico si è liberato del solido Ancelotti e successivamente, per personale fastidio della figliola Barbara, ha allontanato anche Allegri, il tecnico che sta realizzando un record personale: prima panchina e subito scudetto. Ma c'è di più: stavolta è in discussione anche la qualità aziendale, con l'Inter che, già quasi dissestata, sta trovando con l'acquirente straniero una sua sicurezza, e il Milan che da cassaforte paperoniana cerca ora un affidabile alleato esotico, anticipando un futuribile derby fra l'Indonesiano e il Thailandese. Affidabile. Ci si chiede, in queste ore difficili per il pallone italico, agitato dall'incredibile vicenda del Parma, ceduto per un euro a chi ne aveva appena due a disposizione, quale sia il ruolo della Federcalcio rispetto alla bottega d'affari detta Lega: io la direi non solo custode dell'Immagine ma garante dell'affidabilità. E allora, letto il curriculum del signor Bee Taechaubol, vado cercandola, ch'è sì cara. È un momento difficile, per l'Italia, e non passa giorno che non si registri l'acquisizione di grandi aziende nostrane da parte di colossi finanziari stranieri: la Francia la sta facendo da padrona, avendo iniziato lo shopping con firme affidabilissime proprio da Parma, quando il crack del signor Tanzi ha consegnato ai nipoti dell'imperatrice Maria Luigia la Parmalat regina dei latticini, ma non la squadra di calcio carica di debiti, risanata con fatica e consegnata all'allora affidabile Ghirardi e in questi giorni, con incredibile leggerezza, a esotici affaristi squattrinati. Per ora, solo gli americani di Roma, gli indonesiani di Milano e i canadesi di Bologna hanno esibito la necessaria affidabilità, d'immagine e di portafoglio, senza particolari controlli federali; d'ora in avanti dev'essere obbligatorio esibire referenze personali e bancarie onde evitare la “parmizzazione” del calcio italiano e stabilire anche regole precise per evitarne la “lotitizzazione” (sì, con una sola t), ovvero la creazione di proprietà multisocietarie tanto care al presidente della Lazio, della Salernitana eccetera eccetera.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI