sabato 30 ottobre 2010
Nella chiesa di San Lorenzo al Verano gli operai inviati dal ministero dei Beni culturali stanno riparando una parte del bellissimo pavimento cosmatesco che, da tempo confessava i propri anni. «Se vuole, signora, possiamo aggiustare noi questi piccoli pezzi di pietra che sono appena caduti dalla tomba di suo padre». Grazie, rispondo: questo lavoro di Manzù avrebbe dovuto essere sistemato all'interno della basilica. Qui nell'atrio soffre il vento, l'umidità, la polvere e questa pietra che a Trento viene usata per le tombe all'interno del duomo è risultata fragile. Ogni anno di più sente l'oltraggio del nostro modo di vivere, che ha perduto il rispetto per i monumenti, per i ricordi, per la storia. Basta vedere cosa succede al Colosseo, il più importante monumento dell'epoca romana, che noi facciamo vedere la sera illuminato agli stranieri, di giorno vi aggiungiamo anche dei miliziani vestiti di rosso e coperti di scudi per le fotografie ricordo, ma non ci occupiamo del carosello di macchine che lo circondano ogni ora gettando sulle sue pietre i resti del petrolio e di altre sostanze che lo distruggono. Poco abbiamo imparato dai tempi dei papi, quando negli antichi scritti veniva concesso ad alcune famiglie patrizie romane il permesso di «andare alla cava», così veniva chiamato ciò che era rimasto del Colosseo, a prendere statue per i loro pezzi. Con spazzola leggera tolgo la polvere a quelle foglie di pietra che l'artista ha messo fra i rami che avvolgono con forza questo masso a sostegno della tomba di mio padre. E penso sempre di più a chi si occuperà di lui quando io non lo potrò più fare, quando mi sarà faticoso salire su una scala, passare un panno a lucidare la parte tanto in alto dove è stata deposta la bara più di cinquanta anni fa. «Mi piacerebbe essere sepolto lassù in cima alla collina. Dietro sarei protetto dagli abeti e davanti avrei tutta la corona delle montagne, d'estate nel sole e d'inverno nella neve», aveva detto, ben sapendo che questo sarebbe rimasto un sogno. Ma forse è meglio qui, dove la gente passa, e oggi qualcuno si chiede chi fosse quell'uomo non abbastanza importante da essere sepolto dentro la chiesa, ma nemmeno tanto poco da stare nel cimitero accanto. «Buon giorno signora», mi chiama una donna dai capelli bianchi. «Sono Renata, una delle prime segreterie di De Gasperi quando nel 1946 lavorava al partito in piazza del Gesù. Era così buono. Quando si finiva tardi alla sera si preoccupava per noi e ci faceva sempre accompagnare a casa. Era gentile, si ricordava il nome di tutti quelli che lavoravano per lui. Sono stata anche a Trento e sono rimasta a lungo seduta sui gradini di quel monumento alla memoria. Lì almeno sembra fatto con amore, ma quello che sta a Roma, lo ha visto? È una vergogna, non si capisce cosa sia, tutto in disordine, sporco, in mezzo ad un carosello di macchine. Peccato. Lui che ci voleva bene meritava qualcosa di meglio nella nostra città». Ha ragione signora Renata. Domani e dopodomani ricordiamo i Santi e i nostri Morti. Chissà se guardano in giù.
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