sabato 20 maggio 2006
Sembra una storia del regno degli spiriti quando un uomo ottiene ciò che merita e merita ciò che ottiene.In questi ultimi anni, reagendo a un eccesso antitetico, ci si è riempiti la bocca della parola «merito», auspicando nella scuola e nella società la pratica di un"autentica «meritocrazia». Ad essere sinceri, non si può dire che il valore la virtù o la competenza siano più premiati di prima. Resta, allora, intatta in tutto il suo valore la frase sopra citata, desunta dall"Ode alla malinconia (o «scoraggiamento», in inglese «dejection») dello scrittore inglese Samuel T. Coleridge (1772-1834). Quante volte, infatti, viene spontaneo chiedersi davanti a certe carriere folgoranti e sfolgoranti: ma quali meriti, quali benemerenze o qualità ha mai questo signore baciato dal successo?Per trovare giustizia in questo campo bisognerebbe proprio sperare in un «regno degli spiriti», come dice il poeta, cioè in un mondo ideale. È per questo che una delle regole importanti dell"ascesi (ma anche della nobiltà d"animo) è quella di continuare a compiere il bene con rigore e dignità personale, nonostante l"assenza di gratificazione e di ricompensa, affidando solo a Dio che «vede cuore e reni» (come dice la Bibbia) il giudizio e il premio. Impudenza e arroganza sono, comunque, da denunciare, pur con la consapevolezza che non cambierà il modo di giudicare del mondo, come già amaramente annotava nel Seicento La Rochefoucauld: «Il mondo rende più spesso onore al falso merito di quanto non sia ingiusto col merito vero». E, allora, con costanza andiamo avanti lo stesso a praticare l"onestà, confidando in quell"arduo detto che dichiara essere la virtù premio a se stessa.
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