sabato 12 ottobre 2013
Cerca di non guidare fuori città, qui è venuto con un amico. La spiaggia si estende quasi a perdita d'occhio, non profonda ma lunghissima; e le nuvole scure si addensano sopra le onde che crescono, le cupe iridescenze della risacca. Arriva, a un certo punto, l'abbaiare d'un cane invisibile. Ecco: si ripete, insistente. Sarà il fantasma del mio, il vecchio pensa. E ricorda: lo avevamo portato proprio qui, cucciolo - 1970? - il giorno successivo al suo arrivo, dentro uno scatolone, con l'aereo di Pisa. Io, mia moglie, le mie figlie bambine (o appena adolescenti?). Uno schnauzer nano pepe e sale, le orecchie ritte e la coda mozza; la piccola anima sempre vispa. Il cane della nostra vita: quanto ci aveva voluto bene; e quanto gliene avevamo voluto, per più di quindici anni. Dopo aveva cominciato a morire: un po' ogni giorno, perdendo prima la vista poi l'olfatto, finendo col restare sempre assopito nella sua cuccia; vacillando cieco quando si levava a bere. Non pochi ritengono una fortuna per i vecchi la morte improvvisa, incosciente. Il nostro vecchio invece ha sempre sperato di assistere alla propria morte: di potersi ben raccomandare alla misericordia di Dio, prima di rendergli l'anima. Ed ecco che Dio lo accontenta: togliendogli il fiato, e ogni cosa che ama, goccia a goccia.
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