Il calcio delle donne (Tornare a casa)
mercoledì 12 giugno 2019
Tornare a casa. È il gesto a cui tendiamo da sempre, è il motore che spingeva Ulisse verso Itaca 2.800 anni fa, è il desiderio di tutte le mattine quando usciamo per raggiungere i nostri posti di lavoro o quando partiamo per i viaggi brevi o lunghi che ci attendono. Tornare a casa è l'obiettivo più immediato degli umani, dai tempi delle caverne a quelli dei grattacieli, perché la nostra casa è un confine che tracciamo e che definisce il luogo del nostro sentirci protetti. La sicurezza è un sentimento, per cui non sono sufficienti, per garantirla, antifurti di ultima generazione, leggi sulla legittima difesa o sul possesso delle armi.
È cambiato il concetto stesso di confine, oggi ci sentiamo attaccabili ovunque: l'obiettivo del terrorismo, per esempio, è proprio questo. Poco più di cento anni fa i confini erano quelle trincee che i soldati difendevano pensando non tanto a quello che avevano di fronte, ma a quello che era alle loro spalle: le proprie case. Dietro a quelle spalle e a quei confini, a casa, le donne erano costrette, per ovvie ragioni, ad andare a lavorare nelle grandi aziende lasciate vuote dai militari partiti per il fronte spesso convertite alla produzione di strumenti bellici. Funzionava così anche alla Dick, Kerr & Co., una tranquilla impresa ferroviaria di Preston in Inghilterra, che negli anni della prima guerra mondiale fabbricava munizioni e artiglieria. La promiscuità di genere alla catena di montaggio, in quelle condizioni lavorative tragicamente straordinarie, favoriva il superamento di stereotipi e considerato che quelli erano anche gli anni in cui il football si diffondeva per il mondo, negli intervalli dal lavoro si giocava a calcio, uomini e donne insieme. Alfred Frankland, impiegato dell'azienda, colpito dalla passione che vedeva in quelle operaie-calciatrici, decise di fondare la Dick, Kerr's Ladies che presto divenne la più forte squadra di calcio femminile della Gran Bretagna.
La prima partita di cui si ha notizia si disputò il giorno di Natale del 1917, con incasso destinato a un ospedale che raccoglieva i feriti al fronte di guerra. Frankland, con un vero colpo di mercato ante-litteram, assunse la giovane e talentuosa Lily Parr, cresciuta in strada condividendo con i suoi amici maschi, la passione per calcio e rugby. Diventò una grande campionessa, realizzando 43 goal nel suo primo campionato e più di mille in carriera, proprio come Pelè. Agli esordi erano tutte battute e sorrisi ironici, ma quando il calcio femminile, nel 1920, fu capace di portare cinquantamila persone (e diecimila rimasero fuori), per un match ancora a scopo benefico nei pressi di Liverpool, qualcosa cambiò. Qualcosa di ancora più grande cambiò quando le Dick Kerr's Ladies si schierarono apertamente al fianco dei minatori inglesi, in un loro grande sciopero. La guerra era ormai finita, quelle calciatrici operaie erano diventate un po' troppo famose esponendosi in maniera così esplicita a favore dei diritti dei lavoratori. Qualcuno pensò che sarebbe stato meglio se fossero tornate a occuparsi delle faccende domestiche.
Fu così che il 5 dicembre 1921 la Football Association emise il suo editto di scomunica: «Il calcio giocato dalle donne ha sollevato proteste e il Consiglio sente il dovere di esprimere la propria ferma opinione che il calcio non sia adatto alle donne e dovrebbe essere scoraggiato». Venne chiesto a tutti i club di rifiutare i loro stadi per la disputa di partite di calcio femminile. Parlò, a nome di tutte, la capitana Alice Kell: «Giocheremo, se necessario, anche sui campi arati», ma quella scomunica restò in vigore fino al luglio del 1971.
In questi giorni le nostre ragazze ci stanno emozionando ai Mondiali di calcio femminile, che si disputano in Francia. Ci sentiamo a nostro agio, appassionati come quando tifiamo ciascuna delle nostre nazionali. Tuttavia è bene non scordare mai il punto di partenza e che è sempre un giro lungo quello che, alla fine, ci porta a casa.
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