venerdì 18 maggio 2007
Se il cielo avesse considerato la ricchezza una cosa preziosa, non l'avrebbe data a tanti mascalzoni. Questa battuta, tratta da una lettera indirizzata a una sua interlocutrice, è di uno scrittore, spesso ironico, a tutti noto per un suo romanzo, I viaggi di Gulliver (1726). Si tratta di Jonathan Swift, un inglese nato e morto a Dublino in Irlanda, ma vissuto a lungo a Londra. La sua vena polemica (egli fu pure pastore anglicano) si manifesta anche in questa frase sui ricchi, un ammonimento che riguarda però un po' tutti, perché nessuno può considerarsi immune dal fascino dell'oro. Certo, bisogna ricordare che lo stesso Gesù, che sul tema era stato esigente e fin radicale, di fronte al giovane ricco, non aveva proposto un generico pauperismo o un mero distacco. Aveva, infatti, osservato che la ricchezza è un mezzo necessario ma non un fine egoistico: «Va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri» (Matteo 19, 21). Il ricco, invece, è morso come da una serpe: l'accumulo per sé è un'ansia che lo divora e, così, diventa gretto e meschino e spesso un vero mascalzone, pronto a tutto pur di difendere e accrescere i suoi beni. Chi non ricorda la parabola di Luca del ricco insensato (12, 16-21)? E alla fine questa forma di idolatria ottunde la mente e indurisce il cuore, rende sospettosi e tormentati e crea persino isolamento e solitudine. Il sesso lo puoi anche pagare ma l'amore non si può acquistare. Un poeta americano, Ezra Pound, nella sua opera Lustra, giustamente osservava che «i ricchi hanno maggiordomi ma non amici, mentre noi abbiamo amici e non maggiordomi». E anche se la vita del potente sembra essere piena di lustrini e di piaceri, è ben più serena e dolce l'esistenza di chi ha un amore vero nella sua casa.
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