I poteri democratici: a tempo e in continuità
domenica 23 ottobre 2022
Nel momento del rinnovo della rappresentanza parlamentare e della conseguente nascita di un nuovo esecutivo è del tutto comprensibile che l'enfasi del dibattito pubblico sia posta sugli elementi di discontinuità rispetto alla situazione preesistente. La possibilità teorica e la concreta praticabilità di questo ricambio, del resto, sono strettamente connaturate al sistema democratico, lo caratterizzano anche rispetto a regimi apparentemente analoghi. Le leadership politiche possono essere eccezionalmente longeve – basti pensare al caso recente di Angela Merkel, cancelliere tedesco dal 2005 al 2021 – ma in una democrazia ben assestata e solida il ricambio è sempre alla portata degli elettori e avviene secondo regole condivise e prestabilite, senza che intervengano eventi traumatici di rottura della continuità istituzionale. Continuità che è un valore fondamentale nello Stato di diritto. A pensarci bene, costituisce anche la garanzia che la volontà di mutamento espressa dagli elettori possa avere corso in modo ordinato ed efficace in relazione all'interesse generale del Paese. Se ogni cambiamento degli assetti politici comportasse uno stravolgimento di sistema ne deriverebbero una pericolosa confusione, con la reiterata messa in discussione del patto fondativo tra i cittadini e dei legami di solidarietà internazionale, e una sostanziale paralisi, con l'impossibilità di attuare riforme lungimiranti e un movimentismo scomposto che tra una legislatura e l'altra darebbe luogo a una somma algebrica pari a zero. Nel caso italiano, di fronte all'estrema volatilità dei consensi elettorali che ormai da anni si registra in ogni tornata, la stabilità delle istituzioni emerge sempre più come valore di primaria importanza al punto che è diventato centrale nel dibattito politico il tema di come rafforzarla soprattutto a livello di governo. Il nostro ordinamento, peraltro, è permeato dal senso profondo di questa continuità che si manifesta con evidenza nelle norme che presidiano la durata degli organi costituzionali. Gli esempi più eloquenti sono cronaca di questi giorni e di queste ore: il Governo e il Parlamento, pur con alcuni limiti, restano in carica fino al momento esatto in cui subentrano un nuovo esecutivo e il nuovo Senato e la nuova Camera. Ci sono sempre un Governo e un Parlamento in carica perché il ruolo costituzionale di entrambi (nella Carta sono scritti con la maiuscola) prescinde da chi pro-tempore ne faccia parte. Questo concetto di “temporaneità” compare non di rado nei discorsi del Capo dello Stato e riguarda tutte le istituzioni. Nell'ultimo messaggio di fine anno agli italiani, per esempio, Sergio Mattarella ha parlato dell'“azione responsabile” e della “lealtà” richieste a chi si trova “a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli”. Temporaneità non è precarietà. Rispetto alla continuità è piuttosto l'altra faccia della medaglia, è la consapevolezza di un limite, la percezione che quando si assume un incarico pubblico non si diventa padroni di esso, quale che sia la misura del consenso popolare ricevuto se si tratta di un incarico elettivo. La Repubblica appartiene a tutti i cittadini, a quelli di oggi e a quelli di domani. E' un dovere ineludibile tenerne conto tanto più se si intendono attivare processi di riforma che investono le stesse istituzioni. © riproduzione riservata
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