mercoledì 30 maggio 2012
«Pur nel cambiamento delle modalità fisiche, il tradimento resta il meccanismo della storia, con la minuscola e con tutta la sua concretezza». Ne è convinto il filosofo Giulio Giorello, che ci ha scritto sopra un libro versicolore, intitolato, appunto, Il tradimento. In politica, in amore e non solo (Longanesi, pp. 272, euro 14,90). Ma c'è tradimento e tradimento, pur nella concretezza della storia con la minuscola. C'è il tradimento per cause nobili, per un machiavellico "bene comune", come nel caso di Bruto e Cassio che hanno tradito per salvare la Repubblica a cui Cesare aveva impresso una deriva totalitaria (quanto a Cassio, c'era anche un risentimento patrimoniale, per via di certi leoni, bottino di guerra, che spettavano a lui e che invece Cesare, a Megara, requisì per sé: ma questa è solo una piega della storia). Peraltro, la buona causa di Bruto e Cassio non convinse Dante, che mise i due traditori a far compagnia a Giuda nelle fauci stritolanti di Lucifero, laggiù in fondo all'imbuto gelido dell'Inferno. E c'è il tradimento abietto per meri scopi di potere personale come in Macbeth; c'è anche il tradimento per gioco (con tragici risvolti) del burlador Don Giovanni, mentre Iago è il traditore che si pasce nella mera voluttà del tradire. Giorello allestisce una sfilata di personaggi storici e letterari supportati dalle 20 pagine di dettagliata bibliografia, con molto Dante, moltissimo Shakespeare, parecchio Mozart-Da Ponte, e anche una buona dose di Tex Willer, il fumetto di Sergio Bonelli (Guido Nolitta) al cui ricordo il libro è dedicato. Non poteva mancare un capitolo "teologico" su Giuda, che Giorello tocca con mano rispettosa, affidandosi anche ai commenti del teologo Ratzinger e forse (anzi, senza forse) sopravvalutando l'interpretazione "gnostica" di Saramago e lasciandosi incantare (ma chi può restare indifferente?) dagli specchi di Borges. Il più "divertente" è il capitolo mozartiano del Don Giovanni e di Così fan tutte, ma qui ci atteniamo al "tradimento" in politica, che Giorello analizza attraverso Dante, Machiavelli e Simone Weil. «Weil e Dante – scrive Giorello – in nome di un cristianesimo qui sì davvero agostiniano rifiutano la politica della città terrena: Dante, però, rispondeva alla crisi del suo tempo con la sua politica cosmoteologica; dopotutto, un sommo rege poteva ancora venire a rinverdire i fasti di Cesare; e se anche quest'ultimo reggitore avesse fatto ricorso alla "paura", poco male se la Provvidenza avesse giustificato tale modus operandi». Simone Weil, invece, «esibisce la sua ripugnanza per la politica; e lo fa dopo ed entro Machiavelli, convinta sostanzialmente della veridicità del ritratto machiavelliano del tradimento come pratica abituale dei machiavellici politici di professione». Il Segretario fiorentino ha sancito l'impossibilità di una «politica cristiana», ma «la rinuncia stile Weil lascia il campo libero a qualsiasi spregiudicata opera di traditori». Un utile confronto è suggerito da Hannah Arendt, «per la quale si supera il dilemma tra miseria e totalitarismo, riscoprendo una politica che ridia identità e responsabilità ai singoli individui capaci di optare per una società aperta e di difenderla; il che è impossibile alla politica resa polvere dall'umanesimo pietista di Simone Weil». E, contro la convinzione distruttiva della Weil che «il momento della morte sia la norma e la meta della vita», ecco ancora la Arendt: «La morte, sia che la si affronti morendo realmente, sia nella profonda consapevolezza della propria mortalità, è forse l'esperienza più antipolitica che vi sia».
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