venerdì 1 maggio 2009
Dopo aver superato senza danni l'esame di Barcellona, in quello stadio bellissimo e trionfante di popolo, il "Camp Nou", che ha ormai soppiantato per qualità dello spettacolo il mitico Maracanà di Rio, Gus Hiddink s'è meritato non solo molti complimenti sed etiam ("ma anche" è ormai caduto nel ridicolo) un nobile insulto: "Catenacciaro".
I titoli dei giornali italiani lo hanno scritto con ironia, quelli spagnoli con rabbia. Trattasi a volte di complesso di inferiorità, altre d'incompetenza. O, addirittura, di competenza erudita del calcio. Pensa un po'. Quando manifestai una certa apprensione al mio primo direttore che mi spediva a Lendinara, nella bassa rodigina, a raccontare la mia prima partita (Faenza-Valdagno, spareggio per la D), mi rispose sarcastico: «Un giornalista sportivo normale ci mette 6 mesi a capire tutto, del calcio; lei, al massimo un anno».
Me la cavai in meno tempo - giuro - e riuscii anche a farmi spiegare l'arte del Catenaccio allora in voga (erano i primi anni Sessanta). Non so se per demerito del giornalismo contemporaneo o per colpa della tv, la competenza calcistica - apparentemente diffusissima: tutti ne parlano e ne scrivono - è caduta ai minimi storici, vale a dire alla stagione che precedette la nascita di Carlin Bergoglio e Gianni Brera. Quest'ultimo, in particolare, merita gli onori di Vincenzo Monti, «il traduttor dei traduttor d'Omero», giacché seppe raccontare in affascinante italiano l'evoluzione del gioco del pallone e i suoi massimi interpreti.
Brera era un catenacciaro di gran gusto, capace di intuizioni tattiche che nobilitavano le avare lezioni di Nereo Rocco, uno che con il Catenaccio ha vinto col Milan tutto quel che c'era da vincere. Quando toccò a me fare un passo avanti verso l'autentica competenza, al praticone Rocco preferii lo scienziato Gipo Viani, inventore del catenaccio italico sperimentato mentre allenava la Salernitana, promossa in Serie A.
Nel campionato '47-'48 Gipo, detto anche lo "Sceriffo di Nervesa della Battaglia" («ma se i me dise de la bottiglia no me offendo») aveva elaborato un progetto tattico per rinforzare la difesa e confondere le idee ai tecnici avversari, il che gli fece più tardi vincere - da direttore tecnico del Milan - tre scudetti e una Coppa Campioni. Non entro nel dettaglio, lasciando alla curiosità di ognuno la ricerca della vera natura del catenaccio o "vianema", come lo definirono subito i giornalisti, trovando tuttavia difficoltà a capirlo perché - come scrisse Leo Longanesi - «il giornalista è uno che riesce a spiegare agli altri quello che lui non ha capito».
Più tardi, è cominciata la rissa tra "catenacciari" e "offensivisti", tra "difensivisti" e "qualunquisti"; e ancor prima dell'avvento di Arrigo Sacchi ci fu chi predicò un calcio affatto diverso, veloce, atletico: uno dei massimi predicatori del nuovo fu Heriberto Herrera, padre del movimiento, vincitore di poco, mentre il quasi omonimo Helenio Herrera colse gloria e vittoria in quantità. La lotta tattica continua. E così si spiega - a distanza di anni - perché un offensivista/qualunquista come Zeman si faccia venire in mente di incoraggiare Mourinho a cambiar gioco. Lo Specialone, per chi non lo sapesse, è un Catenecciaro. Con la maiuscola.
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