I mercatini a «chilometro zero»
sabato 26 marzo 2011
L'unica forma di vendita organizzata che cresce nell'alimentare è quella collegata ai cosiddetti "mercatini" dei contadini. E' un dato importante, positivo da un lato ma fortemente negativo dall'altro e che, in ogni caso, indica quanto sia delicata la situazione dei mercati alimentari nazionale.
Ad evidenziare la situazione è stata una analisi di Coldiretti dei dati Istat sulle vendite al dettaglio a gennaio. Da questi si deduce che i mercati degli agricoltori di Campagna Amica - l'iniziativa che fa capo proprio all'organizzazione agricola - fanno registrare un balzo in avanti del 28% delle strutture dove hanno fatto acquisti ben 8,3 milioni di italiani durante il 2010. Sarebbero questi gli unici numeri "positivi" nell'andamento delle vendite alimentari dello scorso anno: a perdere clienti, infatti, sono state tutte le altre forme di commercio. Nel corso del 2010, infatti, sono saliti a 705 i mercati degli agricoltori, per un totale di 25.115 giornate di apertura (+148%) durante le quali hanno venduto di persona i propri prodotti ben 16mila imprenditori agricoli. La spesa media di ogni acquirente è stata pari a 26 euro circa. I prodotti più acquistati nei mercati di questo tipo sono nell'ordine la verdura, la frutta, i formaggi, i salumi, il vino, il latte, il pane, le conserve di frutta, la frutta secca, i biscotti ed i legumi. Il 75% degli acquirenti si è dichiarato "soddisfatto" di quanto aveva acquistato e consumato; tanto che il 91% di chi è passato in un "mercatino" si dice pronto a consigliarlo ad altre persone.
Per Coldiretti tutto ciò indica almeno tre "linee di tendenza": la ricerca della combinazione ottimale tra qualità, sicurezza e prezzo, la percezione della responsabilità sociale ed ambientale che ha ogni atto di acquisto e il rapporto tra il cibo ed il territorio con il riconoscimento del valore che ha l'identità territoriale delle produzioni.
Tutto bene quindi, o quasi. Perché è chiaro che il rilancio dell'agroalimentare nazionale non può passare solamente dai seppur importanti e valorosi mercati di vendita diretta degli agricoltori. Non è pensabile, infatti, che un comparto così importante come quello agricolo e agroalimentare nazionale, possa contare solamente su canali di vendita di fatto con un raggio d'azione limitato come i "mercatini". E, a ben vedere, pochi lo pensano, anche se l'aria di rinnovamento che queste nuove forme di vendita alimentare hanno portato nei mercati nazionali, è sicuramente positiva. Di fronte però a vicende come quella della Parmalat, della crisi cronica del mercato zootecnico, dei forti contraccolpi delle quotazioni delle materie prime sulle piazze internazionali, della necessità di "fare numero" per contrare sui mercati, appare evidente che l'agroalimentare nazionale deve poter giocare su altro per sperare di risalire in maniera decisa la china della crisi. E' quindi una bella sfida quella che aspetta gli imprenditori agricoli ma anche le loro organizzazioni e le istituzioni.
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