I malanni della giustizia le tentazioni dei politici
domenica 9 maggio 2021
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza indica nella riforma della giustizia uno degli interventi "di contesto" che sono indispensabili per il perseguimento degli ambiziosi obiettivi su cui il Paese si è solennemente impegnato davanti all'Europa (e prima ancora davanti a se stesso). Del resto, che questo comparto della vita istituzionale richieda un riordino non improvvisato e quanto esso sia urgente, ce lo ricordano quasi quotidianamente, purtroppo, anche le cronache politico-giudiziarie. Il quadro parlamentare, con una maggioranza di governo amplissima e trasversale, sarebbe in teoria eccezionalmente favorevole a questa impresa. Ci si sarebbe potuti aspettare, quindi, un tempestivo e convergente impegno dei partiti rappresentati in Parlamento per mettere mano a questa sfida tanto rilevante per il futuro del Paese. C'è bisogno di leggi ben fatte, efficaci e allo stesso tempo equilibrate. Invece si è aperto un nuovo filone di scontro intorno alle proposte per l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta «sull'uso politico della giustizia» e sui condizionamenti politico-correntizi del Consiglio superiore della magistratura.
Questioni serissime, non c'è dubbio, ma una commissione d'inchiesta è davvero lo strumento appropriato per affrontarle? Le Camere hanno tutta la possibilità di legiferare su queste materie, se lo ritengono necessario. La via dell'inchiesta rischia di trasmettere un messaggio pericoloso, come se si dicesse: il Parlamento indaga sulla magistratura. Ammettiamolo, non suona bene.
La Costituzione contempla il caso di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato e prevede che sia la Corte costituzionale a dirimerli, ma si tratta di tutt'altro scenario. La stessa Corte, nella sentenza n.231 del 1975, aveva ribadito «la necessità di contemperare l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere con l'indipendenza del potere politico rispetto a ogni indebita ingerenza, anche da parte del potere giudiziario». Una reciproca indipendenza tra poteri che non contraddice, ma anzi chiama in causa quel principio di «leale cooperazione» che la Consulta ha indicato come centrale per il corretto funzionamento del sistema istituzionale.
Come si inserisca in questo contesto l'idea di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulla giustizia non è affatto chiaro. È fuori discussione, ovviamente, il diritto di ciascuna Camera di «disporre inchieste su materie di pubblico interesse», come recita l'articolo 82 della Costituzione. Il medesimo articolo stabilisce inoltre che la Commissione d'inchiesta proceda alle indagini «con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria». Ma non è un tribunale. A questo proposito è illuminante quanto viene affermato nella citata sentenza del 1975. La Corte costituzionale era stata chiamata a valutare proprio un conflitto di attribuzione tra due tribunali e una Commissione parlamentare d'inchiesta, e nella sentenza puntualizzava che il compito di tali commissioni «non è di "giudicare", ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere». Se questo è l'intento con cui si vuole far nascere la Commissione d'inchiesta sulla giustizia lo si vedrà almeno in parte da come saranno concretamente configurati il perimetro e le finalità della sua azione. Anche la tempistica merita però attenzione. La legislatura si avvicina alla sua fase conclusiva e l'iter della legge istitutiva della Commissione è appena iniziato. Con due conseguenze su cui riflettere: saranno le prossime Camere a raccogliere i risultati dell'inchiesta parlamentare, ammesso che intendano avvalersene, e i lavori si svolgeranno per lo più in clima di campagna elettorale. Non proprio la condizione ideale per evitare il rischio di strumentalizzazioni su un terreno così delicato e complesso per la vita delle nostre istituzioni.
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