mercoledì 14 settembre 2011
Il nonno stava per morire. Figli e nipoti erano al suo capezzale angosciati. Egli aprì gli occhi ed essi approfittarono per fargli capire che desideravano che non morisse. Allora il nonno con pacata serenità disse lentamente: «Quello che è veramente vivo deve morire. Guardate i fiori: solo quelli di plastica non muoiono mai!».

Riescono a farli così simili a quelli veri da costringerci a toccarli per scoprire che in verità sono finti. Che sia questo un simbolo del nostro tempo, fatto di artificiosità e di inganno? Certo è che il fiore o la pianta di plastica non appassiscono né muoiono; eppure noi tutti li consideriamo come un segno di cattivo gusto e di kitsch. Questa volta la nostra riflessione va, però, nella direzione che ci è suggerita dall'episodio sopra citato. L'ho ritrovato nel riquadro di una rivista americana ove si mettono le "battute di spirito" in senso non umoristico ma "spirituale". La morte, comunque, ha sempre due volti, uno tragico e uno liberatorio. Persino in Cristo si ritrova questa duplicità: per Matteo e Marco egli lancia quell'urlo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»; per Luca si rivolge serenamente a Dio: «Padre, alle tue mani affido il mio spirito».
Vita e morte sono due passi costanti nella nostra esistenza. Ogni minuto è un istante pieno di vita, ma è anche un avanzare verso la morte. C'è un verso indimenticabile messo in bocca a Beatrice da Dante che parla «del viver ch'è un correre a la morte» (Purgatorio XXXIII, 54). È, quindi, necessaria la lezione di Leonardo da Vinci che confessava nei suoi Pensieri: «Quando io crederò a imparare a vivere, io imparerò a morire». Una lezione di sapienza che permette alla fine di condividere la frase di quel nonno. Un frase che si carica di luce ulteriore per il credente che vede la morte come una soglia aperta sull'eternità di Dio.
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