sabato 1 ottobre 2011
Il maestro disse a un suo allievo: Yu, vuoi sapere in che cosa consiste la conoscenza? Consiste nell'essere consapevole sia di sapere una cosa sia di non saperla.

È un po' come essere su quei crinali dei monti così taglienti da sembrare capaci di segare il cielo. Se si è lassù in equilibrio, si vede da un lato distendersi il versante battuto dal sole, forse con la neve accecante e, in basso, il verde delle prime pendici; d'altro lato, ecco, invece, l'ombra che rende tutto triste e scuro. Eppure è necessario avere una visione d'insieme per abbracciare il monte. Così è appunto la conoscenza umana: riusciamo solo a vedere un versante della realtà; ma è necessario sapere che ne esiste un altro a noi ignoto. L'immagine che usava Gandhi è illuminante: la verità è come un diamante, ha molte facce; noi ne vediamo solo una per volta, Dio le vede tutte insieme. Dall'Oriente lontano giunge a noi, con la stessa lezione, questa mini-parabola dei Dialoghi di quel grande maestro di morale e spiritualità che è stato il cinese Confucio: sapere di sapere e, al tempo stesso, di non sapere, questo è il vero sapere.
Tale ignoranza non è quella becera o arrogante; è, invece, la docta ignorantia celebrata nel Medio Evo. E se è vero che una mente così raffinata com'era quella di Tommaso d'Aquino affermava che noi non riusciamo mai a cogliere in pienezza l'essenza di una mosca, quanto più dobbiamo essere umili noi, con intelligenze ben più ristrette, quando vogliamo inoltrarci nei vasti campi della natura e del mistero divino. Persino Voltaire, che è per tutti il corifeo del razionalismo trionfante, confessava: «Siamo ciechi che procedono e ragionano a tentoni». La ragione è, comunque, preziosa, ma non dev'essere considerata un idolo, perché ben presto rivela la sua impotenza di fronte all'immensità degli orizzonti dell'essere e dell'esistere.
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