martedì 13 dicembre 2011
    È la malattia che rende piacevole e buona la salute, la fame l’appetito, la stanchezza il riposo.          Come nell’elettricità il polo negativo e il positivo sono necessari perché scocchi la scintilla e la luce, così la nostra vita è un ininterrotto oscillare fra estremi, ed è questo a rendere l’esistenza autentica. Non per nulla – tanto per fare un esempio forse banale – si anela alla pensione per l’intero arco lavorativo e poi, quando arrivano quei giorni così spogli e monotoni, si prova nostalgia per il passato che era fatto di stanchezza e riposo alternati. È ciò che osserva, con l’incisività del frammento (è quello numerato come 111), l’antico filosofo greco Eraclito (VI-V secolo a. C.) che vedeva la vita come un flusso tra positivo e negativo che spingono in avanti la creatura umana e l’essere.    Una serie monocorde di giorni sarebbe solo apparentemente tranquilla e serena. Alla fine risulterebbe incolore e noiosa. Vivere è, allora, saper dare il giusto rilievo al mutare delle situazioni, anzi, in qualche caso è premere perché il cambiamento avvenga. Dopo tutto, la stessa conversione è un trapasso dal male al bene; l’essere caduti nel peccato non è solo un’esperienza nefasta, può essere perfino una base di risalita, una vicenda che plasma, un errore che ammonisce e trasforma (sant’Agostino insegna). Ecco, perché, dobbiamo essere grati a Dio che non ci immerge in un’esistenza pennellata solo di grigio, ma che ci fa provare anche il gusto acre del dolore per farci poi gioire nella felicità con intensità. I due poli tra i quali corrono ininterrottamente le tappe della nostra vita sono entrambi necessari e preziosi.
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