sabato 25 giugno 2011
Nella sala di rappresentanza del Corpo forestale dello Stato, resa preziosa dalla presenza di imponenti mura romane, si è tenuta la tavola rotonda "Storie dell'emigrazione trentina". Sul tavolo è messo in evidenza un volume che porta in copertina la foto di una locomotiva a vapore mentre attraversa una landa desolata. La foto rende ancora più vivo il senso di sofferenza e solitudine che si vuol dare a questa pubblicazione dedicata agli emigrati «traditi dalla propaganda». Si tratta di una raccolta di atti, conservati presso l'Archivio di Stato di Trento, che documenta il fenomeno dell'emigrazione che dalla seconda metà dell'Ottocento ha coinvolto tanto pesantemente il Trentino. Il lavoro è frutto di una ricerca portata a termine da Maria Grazia Dalfollo, vedova di Giovanni Lenzi, scomparso due anni fa assieme a quell'aereo che lo riportava a casa dopo una delle sue visite accorate presso gli emigranti trentini in Brasile. Egli faceva parte di quegli uomini generosi che volevano far sentire a queste famiglie come la loro patria li ricordasse ancora, nella certezza che solo mantenendo viva la propria cultura un popolo ha la possibilità di passare la sua esperienza a un altro popolo senza abbandonare la ricchezza di quella d'origine. È per ricordare queste storie che oggi si parla ancora di coloro che, ingannati da una propaganda insincera che prometteva lavoro facile e proprietà da ottenere in poco tempo, si devono leggere queste lettere scritte ai parenti rimasti nelle valli in attesa di fortune che non arrivarono mai. Francesco Giuseppe, al cui impero apparteneva anche il Trentino, aveva fatto un accordo con l'imperatore del Brasile, Pietro, affinché accettasse alcune migliaia di contadini della sua terra dove non c'era sufficiente lavoro. I poveri contadini della Valsugana vendettero tutto quello che avevano all'inseguimento di un miraggio che veniva loro offerto. Si parlava di una esistenza facile in una terra dove esistevano miniere inesplorate, enormi quantità di buon terreno da coltivare e si insisteva sul viaggio offerto gratis a tutta la famiglia che al porto di arrivo avrebbe trovato un impiegato dell'agenzia per indicare loro dove andare: «L'emigrante sbarcherà senza obblighi verso il Brasile, senza debiti, completamente libero. Troverà al suo arrivo alloggio, nutrimento, consiglio e protezione». In realtà quando sbarcarono vennero accompagnati davanti alla foresta dove dissero loro che quello era il terreno da coltivare. Il sacrificio dei primi arrivati e di tutta la prima generazione fu indescrivibile. Tanti morirono di malattie, di stenti, di malinconia, ma i più affrontarono la nuova vita con coraggio. Donne e uomini cercarono di riprendere il senso di una comunità aiutandosi uno con l'altro e dopo aver costruito le loro case con il legno della foresta, pensarono a una chiesa come punto di incontro per tutti. Lavorarono nelle ore notturne quando non si poteva stare sui campi, ma un giorno improvvisamente non ebbero più l'acqua sufficiente per impastare la malta per terminare le ultime mura. Allora fecero una raccolta fra tutti per acquistare del vino ed ebbero infine una chiesetta color viola.
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