Guardare con gli occhi del lettore, è il segreto di Katherine Mansfield
venerdì 28 ottobre 2016
Katherine Mansfield (1888-1923) è una grande scrittrice, forse la più pura e ispirata scrittrice di racconti del secolo scorso. Che cosa racconti, quasi non importa. Al contrario, per esempio, di Isaac B. Singer e di Karen Blixen (altri geni del racconto), in Mansfield la scrittura, il modo in cui qualunque cosa viene detta, sono la vera sostanza del narrare. Per questo anche leggere i suoi diari e le sue lettere è come leggere racconti o frammenti, lampi di racconto. Ora una scelta delle sue Lettere viene pubblicata dalle edizioni elliot, a cura di Milli Dandolo (pagine 250, euro 22,00), in una collana intitolata “Antidoti”. Non ho potuto fare a meno di notare questo titolo di collana, perché leggendo lettera dopo lettera ho sempre avuto la sensazione che le stavo leggendo come un “antidoto” a qualcosa. La bellezza (non so che altro termine usare) della prosa, la sua intensità e naturalezza hanno qualcosa di miracoloso e di unico. Vera prosa che è anche poesia. Vengono in mente (lo stile è diverso) le lettere-poesie di Marina Cvetaeva. Cito a caso: «Oggi, dopo colazione, ci fu un tremendo temporale improvviso, le gocce di pioggia erano grosse come margherite – tutto il cielo era violetto. Sono uscita che era appena finito: il cielo era scintillante di alterne luci, il sole pareva una larga chiazza d'argento. Le gocce pendevano dagli alberi come pesciolini d'argento. Ho bevuto la pioggia dalle foglie dei peschi, che ho scosso perché mi inondassero d'acqua. Ogni foglia viola era piena di pioggia. Ho pensato a te, queste sono le cose che vorrei tu vedessi. Già mi rendo conto della vastità del cielo e della luce sull'acqua. Già ascolto la melodia del grillo, già guardo le minuscole ranocchie che attraversano il sentiero – e guardo le lucertole…». È una lettera del 19 settembre del 1920 a suo marito, il critico John Middleton Murry. Ma quelle parole, «queste sono le cose che vorrei tu vedessi», sembrano rivolte a ogni lettore. Un invito alla felicità di vedere, sentire, accedere almeno per un momento alle minime cose e fondersi con ciò che la natura ci offre e non si nota. Questo è l'antidoto, un antidoto alla tristezza e alla follia della storia umana.
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