mercoledì 25 maggio 2016
La ristorazione italiana è sotto assedio. O almeno così pare a leggere la lettera di un volenteroso signore che ha aperto un locale in una fiorente cittadina della Lombardia e ha dovuto chiudere per l'arroganza dei vicini, che probabilmente non volevano troppe persone intorno ai propri affari. Prima gli hanno bloccato l'accesso per il carico e scarico, poi una sera lo hanno fatto picchiare e, alla fine, con amarezza, questo signore ha dovuto chiudere. Ma quei personaggi loschi sono ancora là. Ci sono troppe zone d'ombra che rimangono tali, e vivono grazie a uno strano senso di connivenza. Ovvero: «Che finge di non vedere un'azione illecita, che favorisce con la propria passività la perpetuazione di un reato», dice il vocabolario. L'altro giorno eravamo in un altro ristorante, bellissimo, appena aperto, nella campagna piacentina. E la sorpresa è stata leggere una serie di cartelli appesi alle finestre, lungo i viali, che quella a fianco era proprietà tal dei tali. Anche qui un'altra forma di timore atavica, per cui un'attività commerciale, anziché essere un deterrente all'isolamento, diventa una minaccia. Anche certe sacche di turismo nostrano hanno questo atteggiamento: l'invasione di una quiete, anziché l'occasione di una nuova economia. Ma non è finita, perché pochi giorni fa abbiamo letto dell'offerta di uno studio legale «nato appositamente per cancellare le recensioni negative su tripadvisor». E anche qui c'è qualcosa di perverso se pensiamo che un ristoratore che vuole misurarsi con il proprio lavoro deve pure stare attento alle recensioni su un portale e quindi difendersi qualora i post non corrispondano alla verità dei fatti. Quando si apre un'attività legata alla ristorazione le minacce sono dunque di diverso genere, se poi aggiungiamo l'invidia di una concorrenza che si fa sempre più spietata, i bastoni fra le ruote sono più d'uno. E qui si potrebbe aprire un capitolo assai ampio sulle difficoltà che incontrano tanti piccoli imprenditori che, alla fine, è come se non avessero una figura super partes cui appellarsi per poter svolgere un mestiere in pace. Un mestiere, a questo punto, che foraggia un indotto di architetti, di avvocati, fino agli improvvisati della comunicazione che promettono successo sui social media. E abbiamo assistito persino al caso di un'imponente manciata di followers, arrivati in una sola notte a favore dell'account di un locale, che aveva pagato una società dedita a creare reputazione sulla rete. Curioso no? È il frutto dell'aspettativa esagerata che viene generata nel mondo del food, per cui si cerca ogni mezzo per raggiungere una meta ideale di posizionamento. Ma in verità ci sono cose che non si possono acquistare, perché la reputazione è un mix di assunzione di responsabilità, ma anche di garanzia di libertà di impresa. Ed è questa, a volte, che fa acqua.
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