martedì 24 maggio 2016
A partire dal 1811, anno in cui diventa obbligatorio un documento di identità, le attività ambulanti offrono agli storici abbondanza di documentazione. Delle persone si descrivono – sulla carta – i tratti somatici facciali, ma è evidente che «naso ordinario», «colorito rosso», «capelli misti (grigi)», permettono anche qualche scambio di persona. Mentre le autorità parlano di «guidoni», «ghitti», «orsanti» e «scimmianti», i Consolati italiani, specialmente dopo l'Unità, inviano relazioni scandalizzate su questi «emigranti straccioni».La lista dei mestieri girovaghi è però molto ampia. Ci sono figurinai della Lucchesia, molitta (affilatori di coltelli) del Veneto, cucitrici della Bergamasca, riparatori di paioli di rame, venditori di sementi, domatori di orsi, ammaestratori di cavalli, cani e scimmie. Molti sono i suonatori di ghironda. Gli "uomini orchestra" riescono a suonare – con testa, mani, braccia e gambe – un numero impressionante di strumenti. In appositi «libretti», le autorità vistano e timbrano il permesso di esibirsi per un giorno o due. I funzionari sono di solito tolleranti: dal 1838 al 1852 un libretto privo di intestazione nominativa passa per più mani. Ma il primo giugno del 1853 le autorità di Bobbio scrivono un «foglio di via» con itinerario obbligatorio per due giovani (di 20 e 14 anni): dicono di averlo ricevuto da un altro proprietario, ma sono sprovvisti di «regolari recapiti».Qualcuno, tra quelli che si sono spinti all'estero, non torna a casa. Un «Jean Bottino musicien», nato a Varese ligure, muore nel 1872 in un ospizio di Marsiglia. C'è anche chi con l'attività girovaga fa fortuna, come la famiglia Piazza. Il capostipite Antonio inizia la sua avventura nel 1834 con un «piccolo orso». Un robusto libretto rilegato in vacchetta scura registra fino al 1851 ben cinque itinerari. Una pagina prestampata dalla polizia provinciale di Bologna (legazione pontificia), chiarisce che Antonio può «esercitare la sua professione di suonatore», fuori dai giorni festivi, senza «impedire il libero corso delle carrozze e delle persone», a «debita distanza dalle Chiese» e non oltre le otto di sera. Nei primi mesi del 1849 il Nostro viaggia tra Pesaro e Orvieto: numerosi i timbri della «Repubblica Romana», che ai primi di maggio mostrano, dentro una corona d'alloro, l'aquila che stringe con gli artigli il fascio dei "triumviri" Mazzini, Saffi e Armellini. Timbri, città, nomi dei funzionari – anche fuori dai grandi avvenimenti – formano un reticolo geografico e umano nel quale si intuiscono fatica e ingegno, rischi e privazioni, abilità e perseveranza. Dopo il 1851 i Piazza seguono i viaggi degli emigranti oltre Oceano. Il bestiario si arricchisce di cani e di scimmie. A volte in paese risuona il grido: «È scappato l'orso!». Altre volte gli uomini più robusti sfidano il plantigrado dei Piazza (munito di museruola) e c'è chi riesce ad atterrarlo. Alcuni membri della famiglia nascono in America e molti vi si stabiliscono. Tanti si specializzano in esercizi ginnici e circensi. Nel 1906, quando il circo di Buffalo Bill fa tappa a Genova, anche i Piazza vanno a eseguire un numero. Nel frattempo hanno comprato dei terreni.La prima bottega di alimentari della zona viene aperta da un pronipote di Antonio Piazza. Ancora oggi la "tribù" americana dei Piazza coltiva il ricordo delle proprie origini. Al di qua e al di là dell'Oceano si continua a parlare di Virginia Piazza, donna bellissima, contorsionista e ballerina applaudita, sepolta a New York. Nella memoria collettiva si è fissata la sua immagine: una ragazza in fiore che attraversa il villaggio compiendo evoluzioni sulla groppa di un cavallo bianco.
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