Gli agricoltori italiani contro le mafie che invadono i campi e tutta la filiera
domenica 19 agosto 2018
Il dito è puntato senza timore. E la denuncia è sempre forte, anche se non nuova. I coltivatori diretti spiegano: «L'ortofrutta è sottopagata agli agricoltori su valori che non coprono neanche i costi di produzione, ma i prezzi moltiplicano fino al 300% dal campo alla tavola anche per effetto del controllo monopolistico dei mercati operato dalla malavita in certe realtà territoriali». Verità che scotta quella delle infiltrazioni della mafia in certi territori agricoli. Al pari del caporalato che inquina diverse zone d'Italia. Entrambi fenomeni – occorre sottolinearlo – che non fanno distinzione fra Nord e Sud della Penisola, ma che ci sono e basta e di fronte ai quali molto si fa ma non abbastanza.
L'ultima denuncia di Coldiretti è arrivata qualche giorno fa in occasione dell'operazione antimafia della Dia di Palermo relativa ad infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato ortofrutticolo siciliano. Ma, come si è detto, il tema riguarda molti territori. Tanto che è stato calcolato, da Coldiretti sempre, che il volume d'affari complessivo delle mafie nell'agroalimentare sia ormai arrivato a 21,8 miliardi di euro. Le infiltrazioni riguardano tutta la catena: dalla produzione al trasporto, dalla distribuzione alla vendita.
Ma come? Stando ai coltivatori le mafie «condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l'esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all'estero di centrali di produzione dell'Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto». Azienda-mafia più che efficiente quindi. E che non fa danni solo nell'immediato, ma anche per il futuro. Vengono infatti distrutti la concorrenza e il libero mercato legale, «soffocata l'imprenditoria onesta», ma anche compromessa «in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti». Tutto questo ha la conseguenza di «minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio» e quindi il futuro degli stessi.
Di fronte a tutto questo – che è cosa d'altra parte già nota e risaputa –, la ricetta indicata dai coltivatori diretti è sempre la stessa. Non basta solo combattere i mafiosi nei campi, ma occorre anche lottare «nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi», così come contro «l'opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale». Vale sempre poi il solito principio che si traduce in due termini ancora non sufficientemente applicati: trasparenza
e informazione. Insomma, il percorso è tracciato, occorre però accelerare il cammino.
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