«Giovani medici senza più la fede» C’è spiegazione. Ed esempio da dare
giovedì 23 novembre 2023

Caro Avvenire,
Poiché sono anziano e con diversi malanni, sono ricoverato di frequente in ospedale. Il disappunto che provo è nel vedere stuoli di giovani medici che mi visitano e che non danno segni di una Fede, cioè sono indifferenti ad ogni riferimento spirituale. C’è una spiegazione? Grazie.
Virginio Sangalli

Gentile signor Sangalli,
se interpreto bene la sua domanda, stupore e amarezza nascono in lei perché chi si occupa degli altri con dedizione - com’è il caso dei medici - sembrerebbe il più naturale candidato all’apertura verso il messaggio cristiano d’amore per tutti, i bisognosi in primo luogo.
C’è però un’altra lettura che ritengo plausibile. La fede è (anche)un affidamento della creatura che si sente fragile e bisognosa di protezione. La medicina moderna, con i suoi enormi e mai troppo lodati avanzamenti, può, tra le altre cose, comunicare a coloro che la esercitano un senso di controllo sulla malattia. La scienza e la tecnologia sembrano darci il potere di limitare gli eventi avversi che ci minacciano, i quali un tempo erano incontenibili e ci suscitavano puro sgomento.
Ovviamente, sappiamo di essere ancora indifesi di fronte a tante insidie e spesso visitati dalla sofferenza. Forse i medici giovani che lei ha incontrato sono ancora nella fase in cui l’ottimismo prevale, e la vita non ha ancora mostrato loro il suo volto doloroso e apparentemente insensato. Ciò non significa che, scontrandosi poi con la propria impotenza e vedendo la morte fare tante volte irruzione, si convertiranno più in là.
Sperimentiamo la diffusione di un sentimento di autosufficienza e chiusura al mistero e alla trascendenza che nelle nostre società occidentali ha probabilmente pochi precedenti. Questo non significa che l’altruismo venga meno. I medici non mancano di comportarsi da “eroi”, ma sono professionisti ben pagati. Molti volontari, solo per adesione a valori umanitari, danno il meglio di sé nell’aiutare il loro prossimo. Forse ne avrà visto qualcuno nelle stanze d’ospedale, dove prima c’erano quasi soltanto suore con la vocazione per la sanità. Mi ha detto una di loro che, quando vi arrivò, la sua comunità, impegnata in prevalenza al Policlinico di Milano, contava 112 sorelle. Ora sono rimaste in sei.
Dobbiamo lasciare prevalere lo sconforto?Sarebbe un errore e - da cristiani - anche un peccato, grave. Portiamo piuttosto il realismo e la speranza. Il realismo perché la medicina e il progresso in generale non ci difendono dall’infelicità che può sorgere dal corpo o dallo spirito. E la speranza, perché il Vangelo è la buona notizia che va oltre ogni patologia incurabile e ogni delusione insormontabile.
Ai clinici a inizio carriera cui è grato per le attenzioni ricevute provi a regalare un libro (breve, il tempo è poco per tutti) che testimoni fede contemporanea e credibile. Magari un volume su due medici straordinari e santi come Giuseppe Moscati e Riccardo Pampuri (morto a 33 anni).

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