martedì 5 agosto 2014
«Se si deve dare del pazzo a ogni grande ingegno che non crede nel materialismo frettoloso tanto onorato al giorno d'oggi, con la beata fatuità di un laureando in scienze esatte, poco ci rimarrà dell'arte e della filosofia mondiali». James Joyce, scrittore per certi versi rivoluzionario, rivela qui la grande libertà del suo spirito. Specificamente nell'apologia del poeta magico e mistico per eccellenza, l'inglese William Blake, vissuto nel Settecento, avversato da subito e sempre, nel mondo accademico e a volte anche in quello letterario, per la presunta follia delle sue visioni. Joyce, da uomo libero qual è, riconosce nella follia del mistico qualcosa di simile alla propria libertà di scrittore dell'inconscio. E addita un pericoloso spettro dell'età moderna, nato con l'illuminismo, sviluppatosi esponenzialmente nel Novecento, perdurante in questi anni di nichilismo: relegare ogni attività dello spirito, soprattutto se visionaria, nella sfera della follia. Esistono artisti colpiti realmente dalla tragedia della pazzia, pensiamo a Van Gogh o Dino Campana: coesiste in loro con il genio. Ma da troppo tempo l'uomo attribuisce a follia l'attività spirituale delle menti libere e indifferenti ai parametri di quelli che Joyce definisce laureandi in scienze esatte.
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