Fra luce e lutto, la Festa dei morti in Sicilia
lunedì 1 novembre 2021

I cimiteri, normalmente deserti, silenziosi, a volte dimenticati, in questi giorni si animano. Profumano di fiori freschi, le voci rimbombano fra i filari di tombe, tante persone vanno a trovare i cari che non ci sono più. Ma non in tutti i luoghi e per tutte le comunità il rapporto con la morte è la stesso. «Quanto la morte sia protagonista del pensare dei siciliani, o meglio, quanto i siciliani pensino a partire dal sentimento di morte che li abita, nessuno l'ha espresso meglio di Gesualdo Bufalino in una delle pagine più dense del suo libro La luce e il lutto: "Così noi continuiamo ad opporre alle abbaglianti vociferazioni del sole la certezza immemorabile che su ogni cosa trionfa il niente. E che nei nostri occhi, finché non li chiudiamo, sono destinati a combattersi e ad amarsi per sempre la luce e il lutto"». Nel volume Morte in Sicilia (pagine 120, euro 50), il fotografo Armando Rotoletti restituisce uno straordinario spaccato antropologico di una terra in cui la morte diventa "teatro", il «teatro tragico del lutto», dove si vive rapportandosi con la morte: «La morte si insinua nei comportamenti siciliani sotto forma di remissività, di tendenza all'accettazione, di non reazione. Tratti, questi, che sono anche la forza della Sicilia, quella della povera gente, che è abituata a vivere, a sopravvivere e a sperare, "nonostante"».

Ragusa, Circolo di Conversazione, 2018. Durante le varie fasi dell’elaborazione del lutto si sospendono le attività quotidiane che normalmente si svolgono tra le pareti domestiche. Anche nel sontuoso “Salone delle Feste” del Circolo di Conversazione a Ragusa, ogni chiacchiera si interrompe e gli specchi vengono coperti per evitare che “imprigionino” l’anima del defunto. Il cromatismo funebre dei lunghi veli neri trionfa dolorosamente sugli arredi e sugli affreschi in stile neoclassico

Ragusa, Circolo di Conversazione, 2018. Durante le varie fasi dell’elaborazione del lutto si sospendono le attività quotidiane che normalmente si svolgono tra le pareti domestiche. Anche nel sontuoso “Salone delle Feste” del Circolo di Conversazione a Ragusa, ogni chiacchiera si interrompe e gli specchi vengono coperti per evitare che “imprigionino” l’anima del defunto. Il cromatismo funebre dei lunghi veli neri trionfa dolorosamente sugli arredi e sugli affreschi in stile neoclassico - © Armando Rotoletti

«Rintocchi gravi, lenti, di campane scandiscono la sequenza di queste foto. Un apparente realismo ci fa strada nella ritualità antica dai gesti sempre uguali, qualcosa d'indefinito blocca il movimento e rende persone e cose come pietrificate. È entrata in scena la Morte. E il bianco e nero fa diventare tutto affascinante», scrive nell'introduzione la scrittrice Dacia Maraini. Rotoletti ha percorso la Sicilia in lungo e largo, per tre anni, «cercando di raccogliere le ultime tracce della tradizione del lutto in Sicilia, riproducendo quell'immaginario umano e culturale che per secoli ha fatto da collante fra le comunità siciliane». Funerali, veglie, segni, luoghi, cerimonie, recite. Ne è venuto fuori un libro che a dispetto del tema funereo, regala straordinarie emozioni della vita. Un libro che si fa mostra, e che va "in scena" fino al 14 novembre a Ragusa, nella splendida chiesa di San Vincenzo Ferreri di Ibla. «Il visionario fotografo - riprende Maraini - ci mostra una Sicilia dove le morti non sono tutte uguali. Ci sono i morti di mafia di cui restano solo i segni dei proiettili, i morti della nobiltà per i quali si appendono grandi fiocchi neri ai portoni, quelli dei poveri che tingono di nero i panni stesi ad asciugare. E poi i morti "sacri" che restano mummificati nelle nicchie delle chiese. E ancora gli sguardi lontani di chi ha perso un padre o un marito e gli incensi inebrianti e le processioni silenziose e infine le tante facce di chi non c'è più. Qui non si nasconde il dolore , fino agli inizi del secolo scorso nel Sud d'Italia alle bambine si insegnava a piangere ai funerali e le piccole prefiche seguivano il feretro singhiozzando e gemendo come attrici consumate, ma questo non significava sbeffeggiare la morte, ma solo renderla spettacolo comprensibile a tutti».

Così in Sicilia, la Commemorazione dei defunti è "la Festa dei morti". Il giorno di Ognissanti «per noi bambini - racconta l'etno-antropologo Ignazio E. Buttitta - era giorno di impaziente attesa. Agognavamo che il tempo si affrettasse verso l'ombra e cercavamo nel cielo i segni del declino. Poiché era la morte del giorno che inaugurava il tempo della festa. Mio padre Antonino, appena rientrato dal lavoro, ci chiamava: forza andiamo alla Fiera! Non era la certezza dei doni che egli avrebbe acquistato a nostro diletto che ci aveva fatto fremere. Quelli, lo sapevamo bene, sarebbero comunque arrivati, i morti ci avrebbero donato, così ogni anno doveva accadere, i balocchi e i pupi di zucchero. Era piuttosto la brama di riempirci di colori, di suoni, di odori e di sapori straordinari, di introdurci con nostro padre in una dimensione altra, quella mitica del tempo senza tempo».

Tradizioni che resistono e altre che si spengono. Ma non dovremmo mai perdere la consapevolezza - sottolinea ancora Buttitta - che «dimenticare i morti, il loro insegnamento, i riti antichi che ne rammemoravano l'esistenza e il ruolo presentificandoli per simboli, ciclicamente, ai vivi, significa disperdere la propria storia culturale, consegnarsi al nulla, essere nulla. Questo non sapevamo né avremmo potuto comprendere noi bambini. Lo sapeva certo mio padre, che, immancabilmente, anno dopo anno ci accompagnava alla Fiera dei Morti, lo sapeva mia madre che imbandiva la tavola serale con pupe di zucchero, oss'i muortu e frutta martorana. Lo sapevano i morti che ogni anno tornavano a carezzare i loro figli e nipoti». Lo suggeriscono le simboliche e potenti immagini di Rotoletti in Morte in Sicilia. «Ho voluto sfidare uno dei tabù più massicci della cultura contemporanea, e più procedevo nella ricerca e nel lavoro, più si faceva strada in me la convinzione che se si mette un velo sulla morte e sulle sue prassi, lo si mette anche sulla vita».

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