mercoledì 28 dicembre 2011
Il rapporto di Francesco Cossiga con san Tommaso Moro è un bell'esempio di «amicizia diacronica», cioè fra persone separate nel tempo, ma in sintonia così profonda da potersi definire amicale. Ne dà testimonianza il libro di Antonio Casu, direttore della biblioteca della Camera, Il potere e la coscienza (Rubbettino, pp. 186, euro 14), sottotitolato «Thomas More nel pensiero di Francesco Cossiga».
Cossiga vedeva nel Cancelliere martire il campione dello Stato laico secondo la concezione di una politica inseparabile dall'etica, indirizzata al bene comune «possibile»: la difesa dei valori e degli interessi legittimi, infatti, deve essere tradotta «in forme e termini compatibili con il funzionamento generale del sistema politico, al fine di pervenire a un assetto generale armonico, non dominato da settarismi e particolarismi».
L'utopia di More, secondo Cossiga, si rivela «come una visione che non prefigura sulla terra una società perfetta edificata dagli uomini, il mito di un progresso inarrestabile e salvifico, la fine della storia»; bensì «l'orizzonte in direzione del quale ogni persona è chiamata a procedere nell'agire quotidiano».
Il libro riporta testualmente gli interventi di Cossiga sull'argomento: si tratta di conferenze, prefazioni, capitoli di volumi collettivi, dal 1978 al 2004. Particolarmente significativa la partecipazione del Presidente emerito della Repubblica alla tavola rotonda del 9 aprile 2003 presso la Pontificia Università della Santa Croce sul tema: «L'impegno e i comportamenti dei cattolici nella vita politica». All'iniziativa, aperta dal prelato dell'Opus Dei, monsignor Javier Echevarría, Gran Cancelliere dell'Ateneo, parteciparono anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger, Giuseppe De Rita, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Del Debbio e Ángel Rodríguez Luño. Nell'occasione, Ratzinger e Cossiga concordarono che la politica non si desume dalla fede, ma dalla ragione, una ragione «che ha la capacità di conoscere i grandi imperativi morali», rifiutando «un positivismo ed empirismo che è una mutilazione della ragione».
L'ultima parte del volume è dedicata all'azione di Francesco Cossiga perché Thomas More venisse proclamato dal Papa patrono dei governanti e dei politici. Il progetto andò a buon fine per il confluire di due iniziative sorte indipendentemente: il senatore venezuelano Hilarión Cardozo (che fu anche ministro della Giustizia nel suo Paese) dal 1991 perorava simile causa ed aveva mobilitato eminenti uomini politici sudamericani, vescovi e intere Conferenze episcopali, compresa la Conferenza episcopale britannica. Dal canto suo, Cossiga operava in proprio, e fu l'allora prelato dell'Opus Dei, monsignor Álvaro del Portillo, a invitare monsignor Flavio Capucci, postulatore della Causa di beatificazione e canonizzazione di san Josemaría Escrivá, a mettere in contatto Cardozo e Cossiga. Nell'Opus Dei c'è molta devozione per san Tommaso Moro, perché san Josemaría lo scelse per tutta l'Opera come intercessore per i rapporti con le autorità civili.
L'amicizia fra Capucci e Cossiga è rievocata nel libro, e finalmente, il 31 ottobre dell'Anno giubilare 2000, Giovanni Paolo II proclamò Tommaso Moro patrono dei governanti e dei politici. In questi difficili momenti, governanti e politici, ma anche tutti i cittadini, è bene che si rivolgano al martire inglese obiettore di coscienza affinché la politica non sia guidata da mere ambizioni di potere, bensì dalla consapevolezza che «le istituzioni non sono semplicemente dei meccanismi giuridici: esse sono anche forme operative dell'autocoscienza della nazione».
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