martedì 20 giugno 2023
L'incidente di Casal Palocco, frazione di Roma Capitale simbolo di privilegio, prova che il nonsenso, dilemma che angustia religiosi, filosofi e atei senza distinzioni, trova modi sempre nuovi modi per sgomentarci. La pletora di lamentazioni e geremiadi che segue fatale coinvolge un po’ tutti, reazione comprensibile a tanta devastazione provocata da una leggerezza incomprensibile, se non cinismo colpevole. Sull'onda emotiva si procede per semplificazioni via via più insopportabili, dando sfogo non di rado a retoriche pompose e apocalittiche che sembrano volersi giocare i Pulitzer di provincia con la ricercatezza linguistica di una soap opera. La causa è indubbiamente buona, così si pensa, quindi si imbracciano spada e scudo senza remore, tagliando teste qua e là (metaforicamente per fortuna) nel nome di un bene immaginario. E ci si spinge senza pudore a produrre soluzioni di ogni tipo per ciò che non si può risolvere: il male, la contraddizione, dov'era Dio in quel momento e così via. Non si tratta di codice stradale o accesso ai social, o smartphone, si tratta di noi tutti malati della stessa malattia profonda. I ragazzi youtuber protagonisti di questo strazio sono anche figli nostri, della stessa mentalità che li condanna. La ragione che spinge a trascrivere compulsivamente la condanna altrui è la stessa, con esiti diversi per fortuna, che ha mosso i ragazzi in questa tragedia. Apparire, sopra tutto. Prevaricare gli altri in termini di immagine da utilizzare come un bastone, non solo, generare ondate di odio, mostrare che si è migliori, guadagnare di più o almeno ostentarlo. Non si deve fare confusione: l'ambizione, dal mio punto di vista, è un vizio sano, motore di progresso e competizione che generano risultati positivi, insieme, naturalmente, agli effetti collaterali inevitabili.
Ma l'ambizione 'positiva' si impernia sul merito delle cose, non sull'apparenza vuota di proiezioni del sè ridicole, artificiose e strumentali. Da questo nessuno è immune, inutile negarlo, è scritto in trilioni di post carichi di retropensieri tanto puerili quanto velenosi. Vado in controtendenza: i social che, mea culpa, curo molto poco, sono osservatori psicologici insostituibili. Consultarli aiuta molto a definire il quadro di chi si ha di fronte. Se si sa leggere un minimo l'inconfessato è chiaro, aspirazioni, frustrazioni, capacità di fingere, tendenze violente, opportunismo e piaggerie, una cornucopia per lo psicologo fai da te. Persone di cultura, di fede, professionisti e funzionari, politici ad ogni livello nei social regrediscono a stadi di dissimulazione infantile imbarazzanti. I più 'scafati', la cui finalità è autoincensarsi fino al ridicolo, sono convinti di mascherarla con il makeup tecnologico e si producono in esercizi di morale, fotografie che fanno intendere qualcosa dicendo altro, iniziative socioculturali elette, ostentano ruoli e gesti che, secondo loro, dovrebbero assurgerli alla gloria, fosse anche quella di qualche like. Un classico lo abbiamo visto questi giorni: quanti si sono serviti dei funerali
di Berlusconi per darsi un tono del tipo lo conoscevo anch'io, le foto col morto sono un classico del cinismo opportunista da avanspettacolo. Presenzialismi, finzioni consapevoli, trasformismo di risulta sono l'humus che ha cresciuto noi come gli youtuber, alimentando una scissione che come una valanga produce effetti irreversibili. Noi che abbiamo tutti contribuito a far rotolare il primo sassolino nascondiamo la mano, noi,
tutti scrittori, tutti soloni, tutti giudici, tutti legislatori e statisti, tutti buoni e bravi, nella segreta speranza che nessuno, un giorno possa dirci: tu quoque, tu quoque urus. © riproduzione riservata
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