mercoledì 12 ottobre 2016
Cos'è rimasto dell'Expo? La domanda m'è arrivata diretta sabato sera da un collega. E ho fatto fatica a rispondere, anche se qualche secondo dopo, senza pensarci più di tanto, ho risposto: "Questo!". E il questo corrispondeva al luogo dove eravamo: il Refettorio Ambrosiano. Siamo in piazza Greco, in una parte semiperiferica di Milano, dove la Caritas offre soccorso alimentare a chi non ce la fa. E questo può essere nella norma, ma il Refettorio Ambrosiano ha qualcosa in più, che si chiama bellezza, gusto. È speciale la cucina, che ha impostato nientemeno che il cuoco Massimo Bottura, ma sono speciali anche i tavoli, ognuno diverso dall'altro e realizzato da artisti famosi del design e del legno in doppia copia: una per il refettorio, l'altra in beneficenza per quest'opera che ha pure un'associazione di sostenitori attivi. Quando don Giuliano ci ha spiegato dove ci trovavamo e poi ha spiegato i simboli del refettorio, come il quadro di Carlo Benvenuto col pane al centro, e poi il gioco di luci e di spazi, sembrava di stare dentro a una chiesa. Ma noi eravamo lì in 80 per chiacchierare di gusto a tavola, con Bruno Pizzul e con gli autori del libro "Dimmi come mangi". E mi è venuto in mente che ogni città dovrebbe avere un posto così, dove la gente di buona volontà riaccende la luce della bellezza (che è tanta nel nostro Paese) e crea un luogo dove il bisogno trova risposta. Nutrire il pianeta energia per la vita è un progetto che si costruisce con piccoli gesti che fanno la storia. O meglio, la storia la fa una coscienza comune che ci strappa via dall'individualismo e crea luoghi di integrazione, dove anche il gusto ha la sua parte. Mi ha entusiasmato vedere quest'opera, e soprattutto cenare con un'umanità varia, dove c'erano amministratori pubblici, giornalisti, pensionati attivi, coppie. Mi ha colpito l'amore per il dettaglio, il medesimo delle chiese ereditate dalla storia, che sono anche monumenti di bellezza, di arte oltreché rifugi di un'umanità in cerca di se stessa. Mi ha sorpreso questa attenzione al gusto, che non è una cosa snob, anche perché i piatti che abbiamo mangiato erano semplici: un'amatriciana cotta a perfezione e le polpette di carne, piatto storico del recupero degli avanzi. Quante cose possiamo mettere in atto, senza compiere quel peccato (che è un'occasione mancata) di non accogliere l'altro come vorresti essere accolto tu. Qui ho visto tutto ciò ed è un orgoglio poter dire che questa è la più visibile delle eredità di Expo. Ma il peccato più grosso è invece l'indecisione che ancora aleggia sul sito di Rho Pero, che ha comportato investimenti importanti, ma non riesce a diventare continuità di un evento che aveva tantissimi contenuti. E che volano nei ricordi come foglie al vento.
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