Educare e pubblicare: la missione dell'editore nelle lettere di Cerati
venerdì 6 febbraio 2015
Quanto a esperienze dirette di lavoro editoriale, so poco, solo qualche passaggio sporadico e veloce, deludente sia per me che per gli altri. Mi sono comunque rimasti interesse e curiosità. Quello editoriale credo che sia uno dei lavori più appassionanti e difficili. L'editore deve essere uno stratega, un regista, un seduttore di talenti, un lettore e un intellettuale, un confessore di chi scrive, un pubblicitario, un commerciante. La combinazione di queste attitudini e il modo in cui incontrano le passioni del momento o del periodo storico, determinano influenza e successo di una casa editrice. È un lavoro da equilibristi che richiede presenza di spirito e lungimiranza. Sbagliare perciò è la cosa più facile. In duemila copie “non venali” è ora uscita a cura di Mauro Bersani una scelta delle Lettere che Roberto Cerati scrisse soprattutto a Giulio Einaudi dal 1946 al 1979. Cerati cominciò come umile venditore e tale in un certo senso rimase: eppure la sua intelligenza della merce-libro gli permise subito di vedere, valutare e connettere tutti gli aspetti della progettazione e produzione editoriale. Scrisse la sua prima lettera proponendo di pubblicare un suo studio su Pirandello e un altro, in lavorazione, suHemingway. Gli rispose Cesare Pavese: «Egregio Dottore, non possiamo assumerci la pubblicazione di saggi di critica letteraria. Sono letture da tempi prosperi. Ci dispiace». Era il 1947. Leggendo le lettere che più tardi Cerati scrisse come responsabile delle vendite a Einaudi, sembra che quella risposta di Pavese gli sia rimasta in mente. Dato il suo ruolo, non poteva sottovalutare i bestseller narrativi, ma del successo effimero diffidò sempre. La Einaudi aveva e doveva avere una “missione” culturale e (come osserva Bersani) Cerati ripeteva quasi ossessivamente che non si dovevano relegare sullo sfondo la saggistica, la storia, le idee, i sostanziosi e durevoli libri di cultura. Consigliò di programmare libri per la scuola e quando Calvino firmò un'antologia scolastica per la Zanichelli, il fedele e militante Cerati si espresse severamente con lui: Calvino aveva “tradito” la sua casa editrice, e proprio in uno dei progetti a cui Cerati teneva di più, quello educativo.
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