sabato 12 ottobre 2019
Provate, per un momento, a immaginare di essere seduti in poltrona, davanti al televisore, e dì stare guardando il vostro programma preferito. A un certo punto interruzione, per la solita pubblicità, e all'improvviso tra un dentifricio e un nuovo smartphone irrompe un messaggio di questo tipo: "Il mio dio lava i peccati meglio del tuo. Diventa cristiano!". Terribile, vero? Quasi impossibile anche solo da immaginare. Eppure, molto meno lontano dalla realtà di quanto si possa credere. Perché, magari non esattamente in questa forma ma molto vicino, è quanto fanno molte sette pseudo-cristiane che "vivono" in televisione o fanno marketing porta a porta, così come, sotto un'altra veste, si caratterizzò una antica stagione missionaria della Chiesa cattolica, quando si andava in Africa o in Asia e, se si riusciva a convertire un capo, tutti i suoi sudditi si convertivano di conseguenza.
Ma l'evangelizzazione, ci ha ricordato il Papa due mercoledì fa, non è fare "pubblicità" o "proselitismo" ma annunciare la fede «con gioia, anche nel martirio». «Padre, vado a evangelizzare», ha detto immaginando un dialogo con un fedele. «E cosa fai?», «Cerco di convincere la gente che Gesù è Dio». «Caro, questa non è evangelizzazione, se non c'è lo Spirito Santo non c'è evangelizzazione, questo può essere proselitismo, pubblicità, ma l'evangelizzazione è lasciare che lo Spirito Santo sia lui a spingerti all'annuncio, con la testimonianza, anche con il martirio, e con la parola». L'auspicio, dunque, è «che lo Spirito faccia dei battezzati uomini e donne che annunciano il Vangelo per attirare gli altri non a sé ma a Cristo, che sanno fare spazio all'azione di Dio, che sanno rendere gli altri liberi e responsabili dinanzi al Signore».
È stata la seconda volta in pochi giorni che Francesco ha affrontato questo delicato tema. Lo aveva già fatto in Africa, durante l'incontro con i Gesuiti di cui aveva riferito "La Civiltà Cattolica", ricordando come «san Francesco d'Assisi ha detto ai suoi frati: "Andate nel mondo, evangelizzate. E, se necessario, anche con le parole"». L'evangelizzazione è essenzialmente testimonianza. Il proselitismo è convincente, ma è tutta appartenenza e ti toglie la libertà. Credo che questa distinzione possa essere di grande aiuto. Benedetto XVI ad Aparecida ha detto una cosa meravigliosa, che «la Chiesa non cresce per proselitismo; cresce per attrazione, l'attrazione della testimonianza»
Parole importanti e "pesanti", che sottolineano la continuità di una scelta irreversibile, l'abbracciare con determinazione il Vangelo senza badare ai numeri, ma alla vera sostanza dell'evangelizzazione. A far mettere nero su bianco per primo il rifiuto del proselitismo in un documento interconfessionale fu Giovanni Paolo II, che nel 1991 a Ginevra sottoscrisse un accordo in tal senso con la Chiesa ortodossa russa. Dopo di allora non si contano le volte in cui Wojtyla si è pronunciato contro il proselitismo, e dopo di lui lo stesso ha fatto Benedetto XVI, compresa appunto l'omelia di Aparecida in cui Ratzinger ha ribadito come «la Chiesa si sente discepola e missionaria di questo Amore [di Cristo]: missionaria solo in quanto discepola, cioè capace di lasciarsi sempre attrarre con rinnovato stupore da Dio, che ci ha amati e ci ama per primo. La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per "attrazione": come Cristo "attira tutti a sé" con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore». Non c'è eccezione possibile a questa regola d'amore.
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