giovedì 19 ottobre 2023
Chissà se ai signori dell’azzardo è gradita tutta questa attenzione al loro mondo, in seguito alla vicenda dei calciatori scommettitori compulsivi. Ne dubitiamo. C’è il rischio – stiamo facendo dell’ironia – che gli italiani comincino a capirne qualcosa, a partire dal fatto che a certi livelli è una malattia, non un passatempo o un vizio, come sulla “Stampa” (18/10) ha ben compreso Giulia Zonca: «Fagioli malato di scommesse». Potrebbe davvero essere che all’origine ci sia una qualche fragilità, dell’anima non del corpo, come sul “Corriere” (17/10) paventa Aldo Cazzullo: «La debolezza dei calciatori che guadagnano più di un primario», che pure gioca su un antico paradosso: può essere debole una persona senza problemi economici? Domanda analoga a quella di Beppe Severgnini (“Corriere”, 17/10): «Giovani, ricchi, soli. I calciatori e l’azzardo». No, all’industria dell’azzardo di massa non deve neanche far troppo piacere tutto questo parlare di “azzardo”, parola che loro non pronunciano mai, nemmeno sotto tortura, perché il lemma d’obbligo è “gioco”, simpatico e generico, che tiene dentro la scommessa da diecimila euro su un calcio d’angolo e una partita a calciobalilla. Non devono aver gradito nemmeno il Michele Serra che sulla “Repubblica” (18/10, titolo: «Le scommesse come bene di consumo») punta al cuore del sistema e del problema, immaginando che cosa scriverebbe oggi Gianni Mura: «Magari avrebbe detto che in un mondo nel quale, e del quale, il gioco d’azzardo legale è uno dei motori economici (non si può vedere una partita, nei canali dedicati, senza sorbirsi quintali di pubblicità delle scommesse), certe inibizioni etiche e culturali sono destinate a scomparire. Ed è ipocrita, poi, lamentarsene». Se l’industria dell’azzardo ha da sempre minimizzato il problema, arrivando perfino a negare l’esistenza della patologia del Dga (Disturbo da gioco d’azzardo), comunemente nota come ludopatia, è interessante leggere sul “Corriere” (18/10), nel servizio sulla deposizione di Tonali: «Il sospetto è che il fenomeno sia più comune di quanto si pensi». Appaiono perfino verità assai più difficili da digerire come quella dello psichiatra Santo Rullo intervistato da Federico Strumolo su “Libero” (17/10): «I calciatori puntano sperando di perdere per riscommettere». Ci siamo quasi. © riproduzione riservata
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