Due religiosi colti tra i barbari e la passione per la divulgazione
domenica 4 giugno 2017
Conosco da una vita padre Luigi Lorenzetti, dehoniano, classe 1931, teologo moralista, fulcro della "Rivista di teologia morale" per l'intero arco della sua storia editoriale. Da tempo progettavo di fargli una visita ed ecco che lo incontro in Rete sul sito di "Famiglia Cristiana" ( tinyurl.com/ycmtx9z5 ), ai cui lettori è familiare. Intervenendo per due giorni consecutivi nella rubrica "Chiedi al teologo" della sezione "Chiesa e fede" si fa bastare 900 caratteri per chiarire, a proposito del secondo Comandamento, che «le immagini e le sculture delle nostre chiese non sono idolatriche, sono umili segni che rinviano all'unico Signore», e, a proposito della "nuova" traduzione del Padre Nostro (Bibbia Cei 2008), quanto «è consolante pensare e credere che Dio è sempre presente alla (o nella) tentazione, così da vincerla, anzi, trasformarla in conferma nella scelta del bene».
Invece, padre Gaetano Piccolo, gesuita, classe 1973, attualmente docente di Filosofia del linguaggio alla Gregoriana, lo conosco solo attraverso il suo giovane blog, "Rigantur mentes" ( tinyurl.com/ybemq4nr ). Ma l'appuntamento con le sue "omelie" domenicali - il genere letterario che vi compare più di frequente - è di quelli ai quali cerco di non mancare: l'incipit è sempre sorprendente, così che per arrivare a meditare con lui sulle letture festive si passa da corridoi lunghi e intriganti come le immagini che ne impreziosiscono le pareti. Così, per dirci che quella di oggi, Pentecoste, è «in un certo senso la festa in cui ritorniamo a scoprire il senso della nostra vita», ci presenta due pezzi di vetro blu che, ignari di far parte di un mosaico nel quale interpretano nientemeno che gli occhi di Gesù, decidono di «staccarsi dalla parete e scendere a terra», nell'illusione che qualcuno si accorga di loro e li usi meglio.
Parole cristalline, metafore seducenti: sono grato a questi religiosi colti che non si sottraggono alla difficile arte della divulgazione. Anche se il territorio è quello, un po' barbaro, del digitale.
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