martedì 7 giugno 2022
Dress code (regole di abbigliamento) a scuola, «Siamo veramente liberi di vestirci come vogliamo?» (Dacia Maraini in prima pagina sul "Corriere", 5/6). Potrebbe sembrare una questione irrilevante, d'ogni inizio estate. Ma se fosse un segno dei tempi? Partiamo dalla periferia. Bassano del Grappa (Vicenza), Istituto vescovile Graziani, 300 studenti da 0 a 14 anni. Il Consiglio d'Istituto decide che si andrà a scuola in divisa, low cost, senza eccezioni. Il responsabile Gianni Zen dichiara al "Giornale di Vicenza" (5/6): vogliamo «promuovere il senso di appartenenza all'istituto, creare spirito di squadra, rinsaldare il vincolo identitario, sviluppare un approccio alla quotidianità improntato alla sobrietà». Non proprio come a Hogwarts, ma quasi. In altri termini, fammi vedere come ti vesti, e ti dirò che idea hai del luogo in cui ti trovi. Però attenzione: già Zen – uomo di limpidi ideali – rischia grosso con la sua prosa zeppa di nomi per qualcuno astratti; ma lì vicino, a Vicenza, la preside del Liceo Fogazzaro, Maria Rosa Puleo, è stata colpita e affondata con uno sciopero per aver usato termini più "espliciti", tipo «ciccia». Il titolo del "Corriere" (5/6) riferisce le sue parole tra virgolette: «Sono stata una femminista ma non capisco più le ragazze. Se ho offeso chiedo scusa». Abbia torto o ragione, la sua appare una resa incondizionata: «Sono sfiduciata e demoralizzata. Credo di dover andare in pensione: mi sento vecchia, lontana da questo tipo di mentalità, da chi vive attaccato al telefonino a guardare le influencer che sono sempre più svestite. Mi sforzo di capire l'atteggiamento dei ragazzi ma non ci riesco». Sagge parole, quelle di Dacia Maraini: «Non ci vestiamo come ci pare, ma come pare alla moda (...). Credere che sia libertà l'adeguarsi a una moda sciatta, cinica che mette sul mercato il corpo femminile come oggetto di predazione è un equivoco purtroppo poco compreso».
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