sabato 6 febbraio 2021
Don Paolo Tablino: «Ringrazio Dio per la libertà che mi ha concesso. Prego per la libertà di tutti. Solo nella donazione di amore non c'è schiavitù da nessuna parte». Parole di un prete tra tanti, ma con 50 anni d'Africa da raccontare. Nasce ad Alba, presso Cuneo, il 24 maggio 1928 e, dopo aver giovanissimo preso parte alla resistenza e visto massacri di civili inermi, a 22 anni è prete. Anche di qui una vita contro la violenza e lo sfruttamento dei poveri. Nel 1957 Pio XII con l'enciclica Fidei donum invita le Chiese d'Occidente a donare preti all'Africa. Risponde tra i primi, e nel 1959 eccolo a Nyeri, in Kenya: fonda il Seminario e vi insegna dal 1960 al 1963. Il vescovo monsignor Cavallera, una leggenda tra i popoli del Kenya lacerato da lotte tribali, lo incarica di andare verso il nord, ai confini d'Etiopia e Somalia tra le tribù Samburu, Borana e Redville, e lui nel 1963 lascia il Seminario e fonda la missione a Marsabit, porta del deserto del Nord che arriva al lago Turkana, dove pare siano stati trovati i primi resti di homo sapiens. Altri 17 anni di vita lì, tra i poverissimi, nello scenario di polvere rossa così fitta che invade tutto, tra savane e deserti, foreste e villaggi spesso saccheggiati e insidiati da pirati e cacciatori di selvaggina e animali per zoo e circhi d'Occidente. La gente lo venera come maestro che annuncia il Vangelo con la vita. Nel 1980 il vescovo di Alba lo richiama perché metta su l'Ufficio diocesano missionario: prepara i preti alla missione e intanto traduce la Bibbia e il Messale in Borana, adattandolo al calendario lunare dei suoi popoli del Nord. Nel 1984 torna laggiù, continua come sempre, ma a 60 anni, nel 1988 si fa Missionario della Consolata e torna alla sua Marsabit, ai confini del deserto inospitale ed ostile…Quella è casa sua per sempre: nomade tra i nomadi, amico, confidente, prete, vita magra e tribolazioni con la sua gente: solo così - insegna - si può trasmettere il Vangelo, condividendo tutto, conoscendo le persone e rispettandone le identità. Scrive anche manuali di lingua Borana, e di cultura Gabra. Ha vissuto il Concilio come una trasformazione profonda - lui la dice “radicale” - del concetto di Missione. I Borana e Gabra sono nel suo cuore, e lo scrive: «Vedere le lacrime sul volto di un uomo mi fa capire cosa sia amare e donarsi«. Sempre da lassù si era preparato, pregando e scrivendo. La sua salute a poco a poco si è incrinata: a gennaio 2009 da Marsabit lo portano a Wamba, in ospedale, poi a Nairobi, dove il 4 maggio saluta e se ne va. Ma il suo posto è là, a Marsabit, e la sua gente, cristiani, musulmani e ogni altra religione, lo pretende vicino. Parola del suo vescovo di Marsabit, Peter Kihara, alle esequie: «Siamo contenti perché ha predicato il Vangelo con la vita. Voi avete voluto che fosse sepolto qui, tutti. Lui è la pietra angolare della nostra comunità: ha scritto il Vangelo nella perfezione della sua vita». Sepolto lì, ma vivo nel ricordo di tanti che hanno anche camminato sulle sue orme…Uno tra gli altri, suo conterraneo, Don John Cugnod, mio amico, anche lui lunghi anni donati in Kenya, scomparso a 77 anni nei giorni di Natale scorso. Torno a don Paolo Tablino…Nel 1950 aveva scritto così: «Per noi Gesù ama il prossimo, e il prossimo noi l'amiamo perché è Gesù». Lui di questo ha sempre vissuto…
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