sabato 21 novembre 2020
Scrivi, scrivi, mi
dicevi don Giuseppe dietro il tuo grande tavolo che ti serviva da scrivania. Fra le pile di libri allungavi la tua mano per tenere prigioniera la mia, e non mi lasciavi finchè non avevo dato risposta alle tue domande. La mia timidezza di fronte a te era tale che non trovavo argomenti dei quali parlare, né sapevo più perché ero salita fino al tuo alto piano proprio quel mattino. Poì, quasi con prepotenza mi toglievi il piccolo quaderno che tenevo tra le dita ormai senza più forza davanti alla tua voce. Consegnare in mano ad altri ciò che si è scritto per sé nei momenti di dubbio, di indecisione, quando l’incertezza sulle tue capacità ti lascia sola e vorresti un giudizio, mentre allo stesso tempo lo temi, non è facile. Cosi furono i primi incontri quando la sua sensibilità aveva cercato di renderli meno pesanti facendomi girare nelle lunghe camere del palazzo cariche di modesti scaffali di legno che sopportavano il peso di centinaia di libri ancora da elencare secondo suoi principi. Avevo così capito che quello era il suo tesoro e che farlo vedere era un atto di
amicizia e quindi di apertura a una possibile conoscenza di valori personali. L’ombra di quella stanza, davanti a un tavolo scuro e quegli occhi che rubavano i pensieri di chi stava loro di fronte seppi che la mia vita si sarebbe svolta attorno ai racconti della vita politica della mia famiglia e che mi avrebbero resi modesti, a loro confronto, gli altri. 0ggi guardando quelle pagine mi accorgo che la profonda verità del suo essere uomo della politica era soprattutto, in mio padre, il suo cristianesimo che aveva cercato di applicare come personale attività naturale, ma spesso su una strada incerta e anche penosamente combattuta. Vista oggi pubblicata sui libri di cinquant’anni fa, durante una lettura attenta, l’impostazione della sua vita politica, sembra davvero l’unica possibile per un uomo di fede. Gli incontri brevi con don Giuseppe furono per me una nuova ricerca della storia politica dell’epoca, ma soprattutto dell’animo col quale mio padre aveva affrontato gli anni difficili in cui era necessario non solo cancellare i ricordi delle morti subite e procurate in altri popoli, ma riprendere la possibilità di ricostruire un desiderio di pace e di collaborazione
comune. Don Giuseppe non c’era più. Il suo ultimo aiuto, quasi un grido mentre veniva portato all’ospedale, fu dandomi un ultimo sguardo: «Prega, ricordati, prega».
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