sabato 1 luglio 2023
Don Enrico Chiavacci, nato a Siena il 16 luglio 1926, prete, parroco, teologo, in tutto e sempre pastore del suo popolo a Ruffignano, presso Firenze, dove è stato parroco per più di 50 anni e poi, anche come teologo ed esperto di scienze umane, di quello detto giustamente “popolo di Dio”. Il suo Corso fondamentale di Morale, una decina di volumi densissimi, pubblicati nel corso degli anni dalla Cittadella di Assisi, è un capolavoro di sintesi sapiente e prudente tra la tradizione e i segni dei tempi, sulla cosiddetta “dottrina sociale” della Chiesa nei secoli e l’etica famigliare e sessuale applicata nel vivo del mutare dei tempi e della stessa realtà della Chiesa. Ho tra le mani il suo libro sulla “Gaudium et Spes” edito nel 1967 dall’editrice Studium: 600 pagine, capolavoro di fedeltà e libertà teologica. Il titolo del testo conciliare proposto dalla Curia parlava di «angoscia e terrore», ma Giovanni XXIII lo volle «gioia e speranza». Di qui anche la novità del passaggio dalla considerazione della sessualità solo come «necessario strumento per la procreazione» alla visione dell’amore coniugale e di ciò che esso implica: da una visione negativa (vedi certi testi di S. Agostino), a quella della «teologia del corpo» nelle catechesi di Giovanni Paolo II negli anni 80. Alla base di tutto la «rivoluzione» del Concilio, con il rifiuto di codificare ancora come assoluta la gerarchia dei «fini del Matrimonio», che metteva al vertice la procreazione e subordinava tutto ad essa. Dal Concilio in poi, passando per il travaglio delle Commissioni teologiche volute da Giovanni XXIII e Paolo VI e poi per la vicenda tumultuosa della “Humanae Vitae” il cammino è stato lungo e complesso. La prudenza di Paolo VI non presentò il dettato dell’enciclica come “definitivo”, ma lasciò volutamente aperto lo spazio alla ricerca ulteriore. E in questo ambito anche gli studi di don Enrico, con altri come Bernard Haering, Ambrogio Valsecchi, e colleghi come Dalmazio Mongillo e Giannino Piana, in Italia soprattutto, con il richiamo ai «segni dei tempi». Don Enrico, fedele e libero insieme, obbediente e capace di novità anche scomode, tranquillo anche quando qualcuno, magari anche autorevolmente e ufficialmente, lo indicava come “dissenziente”…Egli lo fu sempre in cose nelle quali il dissenso era non solo legittimo, ma capace di far camminare in avanti la teologia e quindi anche la Chiesa nelle sue dimensioni intellettuali…Figlio e insieme padre della visione conciliare, don Enrico, stimatissimo dai colleghi, almeno da quelli che non hanno mai visto il rinnovamento conciliare come pericolosa deviazione dalla fede cattolica, nonostante la sua un po’ selvatica ostinazione a non cercare le luci della ribalta, fu per tanti una guida anche intellettuale…Di grande significato, tra altro, i suoi studi sulla morale applicata ai sistemi economici e alla realtà del cosiddetto Terzo Mondo in via di sviluppo…Non solo fiori, ovviamente, sulla sua strada. Verso la fine degli anni ’70 in un Congresso dei teologi moralisti italiani (Atism) egli era vicepresidente in scadenza e, in prossimità del voto, nell’assemblea si alzò un membro della Presidenza proponendo di «non rinnovare» a don Chiavacci «la vicepresidenza». Lui non tentò neppure di ribattere, e tacque. Risultato: i membri dell’Atism furono insieme «obbedienti» e «liberi»: don Enrico Chiavacci fu eletto presidente. Tanti, anche tra i colleghi giovani, o meno anziani di lui, lo ricordano con simpatia e ringraziano lo Spirito Santo che gli ha consentito di essere esempio insieme di libertà vera e fedeltà autentica, le due condizioni necessarie per l’annuncio della fede e per la salute della Chiesa. Morì a Ruffignano il 25 agosto 2013: prete, teologo, pastore e maestro., Con ammirazione e gratitudine. © riproduzione riservata
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