giovedì 21 settembre 2023
Gli uomini della preistoria ci hanno trasmesso una serie di documenti di cui dobbiamo decifrare il messaggio, scrive Julien Ries, il grande storico delle religioni. I paleoantropologi - esperti di una disciplina nata a metà del Novecento, giovane e geniale, che abbina lo studio dell’archeologo a quello dell’anatomista e biologo - indagano questi documenti alla ricerca del nostro passato. Il messaggio consiste in ossa, scheletri, crani, utensili di pietra, tombe, ocra rossa, arredamenti funerari, incisioni su pareti e pitture rupestri. «È una documentazione muta - scrive Ries - dal momento che i gesti, le parole e le idee religiose non sono materie fossilizzabili». Ma questa considerazione non deve affatto spingerci a lasciare in bianco i millenni della preistoria, perché l’analisi della documentazione archeologica fornisce agli storici delle religioni la convinzione che l’homo faber, fosse anche un homo simbolicus e un homo religiosus. È, questa di Ries, un’intuizione e scoperta fondamentale per la conoscenza di noi stessi: l’uomo che impara a usare le mani non è solo faber, ma è un essere già simbolico, e quindi religioso. La maggior parte dei documenti sono nelle tombe: un rito, quindi, che rivela la percezione di un aldilà. La religione è innata, è nel nostro dna, come la poesia. © riproduzione riservata
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