giovedì 27 aprile 2017
Da più parti, negli ultimi anni, viene l'invito a valorizzare i doveri costituzionali, per molto tempo soffocati da un eccesso di enfasi esclusiva sulla cultura dei diritti, dovuta alla scarsa consapevolezza che, nel sistema della Costituzione italiana (ma non sarebbe difficile ritrovare analoghe premesse anche in altri documenti fondamentali, in Europa e fuori), al riconoscimento degli uni si affianca, inscindibilmente, lo scrupoloso adempimento degli altri: anzi, la formula dell'art. 2 Cost., nel prevedere che la Repubblica richieda l'adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà, innova al tradizionale fondamento gerarchico-statuale dei medesimi per promuoverne una visione fondata sul vincolo orizzontale tra i consociati, incentrato sul sostantivo "solidarietà".
L'invito a rafforzare l'attenzione sui doveri costituzionali sembra rispondere a due preoccupazioni principali. Quella di reagire all'accresciuta frammentazione individualistica di un corpo sociale dove sembrano dominare la cultura della reciproca diffidenza e il rifiuto del principio di responsabilità, e quella di riappropriarsi, come corpo politico ed elettori, di uno spazio di decisione altrimenti destinato a venire occupato dalla "supplenza" di giudici e pm: la quale tuttavia, nell'esperienza concreta, sembra aver anteposto i diritti della persona intesa come singulus a quelli della persona intesa come socius e, conseguentemente, rischiare la sottovalutazione dei bisogni fondamentali di chi è più debole in nome di "nuovi diritti". Questa seconda preoccupazione è forse frutto di un equivoco: magistratura e politica, tecnici del diritto e opinione pubblica respirano la stessa aria, si abbeverano alle stesse fonti. Se si vuole reagire all'individualismo chino sulla propria volontà di potenza, dobbiamo sapere perché e come, cioè dobbiamo porci il tema del nucleo essenziale della natura umana che costituisce il limite di ogni tecnica e di ogni pretesa (interessanti sviluppi in tal senso nel recentissimo volumetto di Vittorio Possenti, "Diritti umani. L'età delle pretese", Rubbettino, 2017). Aver liquidato un po' frettolosamente la prospettiva della legge e del diritto naturale non è stato, probabilmente, molto saggio. È una riflessione da riprendere. Le singole tradizioni culturali potrebbero trarre giovamento dalla rilettura dei classici. Proprio stamane, alla Camera dei deputati, viene inaugurata, alla presenza del presidente della Repubblica, una mostra su "Gramsci e i Quaderni dal carcere". Sarebbe interessante tornare su alcune pagine, in particolare quelle (III, 2314 ss. dell'ediz. Einaudi) in cui il pensatore sardo discute su «diritto naturale e folclore», con consapevolezza e spunti sinora poco considerati.




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