martedì 20 dicembre 2011
L'uomo non si deve accontentare di un Dio pensato perché così, quando il pensiero ci abbandona, ci abbandona anche Dio.

La pensée fait la grandeur de l'homme: non c'è bisogno di tradurre questo che è uno dei Pensieri del grande filosofo francese Pascal. Il suo contemporaneo e altrettanto celebre Cartesio aveva coniato quel Cogito, ergo sum che abbiamo imparato a scuola e che univa intimamente essere e pensiero umano. Ma molti secoli prima, nella lontana India, tra le sentenze buddhiste del Dhammapada si leggeva: «Tutto quello che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato: è fondato sui nostri pensieri, è formato dai nostri pensieri». Lode, quindi, al pensiero umano, che si inoltra nei meandri dell'essere, dell'esistere e del mistero. C'è, tuttavia, un «ma» che proprio Pascal ha scritto subito dopo nei suoi Pensieri esaltando, come è noto, le «ragioni del cuore» e concludendo che «l'ultimo passo della ragione è riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano».
A questo punto entra in scena la fede, una conoscenza che segue un altro percorso parallelo a quello dell'amore. E qui vale la considerazione sopra citata sul Dio solo «pensato» che faceva Meister Eckhart, un geniale mistico e teologo domenicano tedesco contemporaneo di Dante. Nei suoi scritti egli spesso procedeva quasi sulla lama di un coltello, inoltrandosi nel mistero divino o in quello dell'essere e del nulla, lungo territori labili di frontiera. Un Dio che alberga solo nel ragionamento è insufficiente perché, se dovesse scricchiolare l'argomentazione razionale, anch'egli si dissolverebbe. Esemplare l'itinerario di Giobbe che a lungo s'interroga su Dio, ma alla fine è l'incontro a svelarlo: «Io ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti vedono» (42,5).
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