mercoledì 2 aprile 2014
Chi poteva pubblicare in italiano il pamphlet di Richard Millet, Lingua Fantasma. Seguìto da Elogio letterario di Anders Breivik? Risposta facile: soltanto Liberilibri, l'editrice libera e liberale (non libertaria) di Aldo Canovari, che ha colto al balzo l'occasione per ribadire la propria insofferenza verso i «segnali di riflusso proibizionista, confessionale, conformista, catechistico – e non di marca religiosa ma laica». Segnali dall'Unione europea che ha disposto che ciascuno Stato membro renda punibili penalmente «l'apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra... dirette pubblicamente contro un gruppo di persone... quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro». Insomma, «siamo al punto che l'interpretazione storica viene imposta per via legale!». Da qui la decisione dell'editore maceratese di pubblicare testi politicamente scorretti (uso questa dizione ormai sdrucita, ma non ho tempo di trovare un sinonimo più percuziente), o scorrettissimi come questo di Millet (pp. 120, euro 15).È refrigerante e disinfettante la calma con cui Millet smonta la nuova versione che Umberto Eco ha dato del suo Il nome della rosa, per «aggiornare l'opera e rapportarsi alle nuove tecnologie e alle nuove generazioni», il che, spiega Millet, significa «eliminare le parole antiche, le digressioni filosofiche e il latino, dunque l'intera gamma di elementi che donava un carattere o un'apparenza letteraria a un romanzo che nella migliore delle ipotesi potremmo definire popolare e, nella peggiore, appartenente alla categoria del best-seller internazionale; un romanzo che, dopo la riscrittura, appartiene a quella zona dove la postletteratura storico-occultistica anglosassone firmata Dan Brown e compagni, della quale Eco è diventato il prototipo e Dumas e Conan Doyle gli antenati, e l'idea post-post-moderna che il racconto (l'“intreccio”), e non più la letteratura, è il valore non solo euristico dell'Occidente, ma anche la sua ultima forma di trascendenza».Non si finirebbe più di citare (Millet ne ha anche per Vargas Llosa), ma non è questo lamento sulla lingua ridotta, per progressivo depauperamento e ibridazione, « una foresta smangiata dalle piogge acide», ad aver scandalizzato i sacerdoti della nuova koinè multimediale e i gelosi custodi della correttezza politica: sono state le dieci paginette dell'Elogio letterario di Anders Breivik a sdegnare i farisaici benpensanti. Breivik, ricordiamo, è il trentaduenne norvegese che il 22 luglio 2011 massacrò a Utoya 77 persone. Millet dice e ripete di non approvare gli atti compiuti da Breivik, ma non ci sta a liquidarlo semplicemente come un pazzo che ha avuto un raptus omicida. Egli considera la deriva di Breivik metafora iscritta nella «grande perdita di innocenza e di speranza, in altre parole nell'irrimediabile degrado del valore e del senso, che caratterizza l'Occidente». Breivik, «bambino abbandonato dal padre, è diventato il “soldato perduto” di una guerra senza nome»; Millet lo considera «il prodotto del crollo della famiglia, sia della frattura ideologico-razziale che l'immigrazione extraeuropea ha introdotto in Europa da vent'anni a questa parte, e al cui avvento ha lungamente lavorato la sottocultura di massa americana». Apriti cielo! Sono scoppiate ritorsioni censorie così violente che Millet ha dovuto dimettersi dal Comitato di lettura della Gallimard, di cui fino a ieri era membro autorevole e ascoltato.In un Paese come la Francia (ma la situazione investe ormai tutto l'Occidente) in cui l'aborto è considerato una conquista di civiltà, il matrimonio omosessuale un diritto naturale, e si minaccia il carcere a chi non è d'accordo, non c'è posto per Richard Millet, le cui idee possono/devono essere discusse e contestate ma con argomenti logici, non con la censura e la proscrizione.
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