sabato 28 marzo 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 17

Un uomo solo nella Piazza, come noi adesso. La sirena dell’ambulanza che copre le parole, metafora del terreste che convive col divino. La pioggia che lucida le pietre senza lavare via il sospetto della colpa. Tre immagini che restano, con dentro tutto: il senso, il pensiero, il bisogno.

Guardando ieri sera l’uomo di Dio zoppicare verso l’implorazione per una pietà urgente, ho pensato a cosa ho fatto per meritare la punizione. E se quello che sta accadendo può essere davvero una punizione, o solo il frutto del caso, un semplice accadimento della natura che da sempre regala e toglie. Non ho trovato risposte, ma solo altre domande. E la presunzione comunque di un’assenza di innocenza, la stessa che ci portiamo addosso dall’inizio, dal primo istante, quando è uno schiaffo che ci fa capire che siamo venuti al mondo.

L’autorizzazione a esistere è già una piccola pena che si paga così, ma precede, aprendola, la meraviglia della vita: è una tassa, il lasciapassare per lo spettacolo che segue, l’ammonimento e insieme l’espiazione di una condizione naturale di peccato. Poi inizia l’autodeterminazione, come decido di vivere, la linea oltrepassata la quale sono passibile di reato.

Voltaire ha scritto che ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto. Ma basta non aver fatto per dover pagare così tanto? Forse no, ma questa è la mia autodifesa d’ufficio, una teoria di parte che non ha nemmeno la certezza dell'origine dell’evento. Perché è lì che si torna: punizione o caso naturale. E la scelta concatena il resto.

Qualche giorno fa qualcuno ha ricordato la trama di un vecchio film coreano, "Old Boy", in cui un uomo innocente viene rapito e rinchiuso in una cella. Quando ne esce, molto tempo dopo, racconta che “se ti chiudono in un posto per quindici anni anche senza che tu abbia fatto nulla, cominci a chiederti cos’hai fatto e soprattutto a chi. E alla fine, anche se sei innocente, scopri di aver fatto comunque del male a un sacco di gente…”.

Non sono attrezzato per ragionamenti così alti e più grandi di me. Li sento passare senza afferrarli, come i perché a cui vorrei rispondermi prima di avere esaurite le domande. Oggi, giorno diciassette dall’inizio del coprifuoco, avrò un’ora in meno per pensarci. Ora legale, non naturale: la accettiamo senza colpa. Ma so già che non basterà per capire.

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