Delmar ha trovato la via sul “sentiero roccioso”
giovedì 11 aprile 2024
«Siamo dei miracoli perché i nostri antenati sono sopravvissuti e noi siamo ancora qui. Mi ci è voluto un po' per vederlo». Delmar Uqualla ha abbandonato la riserva della tribù Kumeyaay, a Viejas, quando era bambina e i suoi genitori si sono trasferiti a San Diego in cerca di opportunità. Non c’era molto nella riserva: tanta povertà, poco lavoro. Ma a 24 anni, Delmar ci è tornata, per trovare il suo posto nel mondo. «Nella riserva non devo inserirmi, posso essere me stessa», racconta dalla casa degli zii dove vive da due anni e dove ha capito che crescere in mezzo alla cultura californiana le aveva fatto smarrire il senso del sacro. «È come se non sapessi più chi ero. È così facile perdere la spiritualità nel rumore di una grande città come San Diego. In un certo senso là fuori mi facevo sempre piccola. Cercavo di evitare le controversie, di non contraddire chi non la pensava come me. Fra i bianchi c’è questa immagine della donna nativa americana sottomessa e mi ci sono adeguata». La madre di Delmar è Kiowa e Comanche e suo padre è Havasupai e Kumeyaay. Non conosceva nessun altro che fosse una combinazione di queste quattro tribù: un motivo di più per adattarsi, per scomparire. Ma cercare di non dare nell’occhio non ha eliminato i problemi. Parlando con altre giovani native Delmar si è accorta che avevano tutte storie simili, storie di umiliazioni, di avance sessuali indesiderate, di discriminazione, e a un certo punto la sua remissività si è trasformata in rabbia. «Volevo solo urlare: ehi, la mia gente è sacra, il mio corpo è sacro, il mio spirito è sacro, nessuno ha il diritto di trattarmi così». Poi sono arrivati i party, le feste sfrenate. «Da adolescente mi sono buttata nel bere, nelle droghe, ma era solo un sintomo del non sapere chi ero, del sentirmi inferiore, e un modo di proteggermi dal dolore di aver sconfitto lo spirito. Stavo facendo del mio meglio per uccidermi». I suoi genitori si sono riavvicinati alla famiglia nella riserva, in cerca di sostegno. «E quando tornavo qui e mi sedevo in cerchio ascoltavo le canzoni, mi sentivo come se fossi trasportata indietro nel modo di vita dei miei antenati, ritrovavo l’innocenza e mi sentivo come se tutto fosse possibile». Ci sono voluti ancora tre anni perché Delmar prendesse la decisione di lasciare gli amici e il lavoro in un’assicurazione e di tornare a Viejas. «Quando pensavo alla riserva, finalmente ero in grado di lasciare andare qualunque cosa stavo trattenendo e continuavo a piangere, non per me, ma per come la nostra gente è stata trattata. E sentivo che i miei antenati avevano tenuto un posto per me».
Delmar non parlava Comanche né Kumeyaay, ma conosceva i riti e le danze delle tribù. Allora ha cominciato ad andare alla riserva per le cerimonie, quasi ogni fine settimana. «Questa energia non può essere percepita da nessun'altra parte. Vedere la nostra gente ballare attorno a un tamburo è molto potente. Vedere gli abiti con nastri dai colori che hanno un significato preciso: il blu che rappresenta l'acqua, il rosso la terra e il sangue. Mi sentivo in pace, come quando ero piccola e mio nonno o mio papà mi insegnavano il canto degli uccelli». Delmar ha capito che le tradizioni e le danze erano tutto quello che restava al suo popolo e che per questo erano importanti e andavano imparate e condivise. È diventata la sua missione. «E non è poco. Nonostante tutti gli sforzi di togliercele, stiamo ancora cantando le nostre canzoni e recitando le nostre preghiere, ed è finalmente giunto il momento in cui le nostre voci possono esprimersi e possiamo riprendere il nostro posto nel mondo, un posto di forza». Come ha fatto Delmar, che ora insegna le tradizioni della sua tribù ai più giovani della riserva. «Mio nonno mi raccontava una storia. Un giorno camminava nel bosco e c'erano due sentieri, uno più roccioso e uno più agevole. Prese quello più facile, ma nel bel mezzo vide un serpente a sonagli, allora fece marcia indietro e si mise a correre lungo il sentiero roccioso finché non arrivò a casa. La vedo come una metafora della mia vita. A volte devi correre sul sentiero roccioso per salvarti e arrivare a casa». © riproduzione riservata
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