sabato 22 gennaio 2011
Tutte vestite di bianco, occupavano la sala grande del Cottolengo di Torino. Il velo metteva in risalto centinaia di visi puliti, un miracolo al quale non siamo più abituati in questo tempo offuscato da sospetti, ingiustizie, scandali quotidiani. Sembrava che in questa città del dolore niente arrivasse a distruggere quella incredibile serenità ed erano tutte bellissime quelle donne che lasciavano trasparire dagli occhi la loro limpidezza interiore. Affascinanti nel loro parlare diretto, senza allocuzioni studiate, senza sottintesi o mezze verità come ci hanno abituato i media dove è difficile distinguere tra verità e bugie. Era come ascoltare la preghiera del mattino nel deserto quando il cielo si offre alla prima luce: così il loro discorrere, denso di una gioia intravista sulla quale avevano giocato il proprio futuro. Erano duecento veli bianchi. Sembrava di vedere un volo di gabbiani alzarsi nell'aria e non era facile trovare parole adeguate a un tale pubblico. Parlare di De Gasperi, di un uomo d'animo diritto, per tanti anni colpito dai compiti quotidiani del governare e conscio delle proprie responsabilità cosa c'era di più facile se non sfogliare quello scambio di lettere con la figlia suor Lucia negli anni tra il 1947 e il 1954? Quando un giornale italiano aveva pubblicato due lettere a sua firma, scritte su carta del Vaticano, dove egli avrebbe chiesto alle forze alleate il bombardamento di Roma prima della sua liberazione e aveva dovuto difendersi di fronte a un tribunale sostenendo con l'apporto di testimonianze, la sua innocenza, suor Lucia gli scrive: «So che la tua tristezza non è di essere bersaglio di odio, ma che questo odio esista così costante e irragionevole e che spesso abbia più forza dell'amore e della amicizia». Un giorno De Gasperi venne punto da un calabrone a una gamba e dovette passare parte delle sue vacanze a letto. Scrive in quella occasione a Lucia: «Questo insetto ignoto e velenoso rimane un mistero: quali effetti potrà avere una causa così piccola? È il male che lo ha armato del suo pungiglione per indebolirmi il corpo nella lotta per il bene, o è il bene che vuol provare la mia insufficienza e piegare il mio orgoglio? Cerco di pensare un po' e riesco talora a elevarmi al di sopra delle montagne con le ali del pensiero e con l'aiuto dei libri, ma quando arrivano i plichi del corriere, [da Roma] vengo richiamato quaggiù. Sento bene che dovrei approfittare di questo ritiro, per parlare a Dio, ma le voci degli uomini mi chiamano al loro servizio. E non li servo in nome di Dio? La convalescenza è noiosa, tu prega il Signore che me la renda breve e non troppo fastidiosa perché ho bisogno delle mie forze per servirlo, del resto mi dia un più chiaro lume sulla sua volontà, che altra non vuol essere la mia». La piccola suora fu la sua lampada presso Dio, alla quale confidava anche le ultime pene nell'agosto 1953 quando dopo una grave crisi di governo gli venne ancora proposto di riprendere in mano le sorti del Paese. «Ho bisogno che mi si ricordi che la Provvidenza si serve di chi vuole e quando vuole e che non abbandonerà il Paese dove è radicata la sua Chiesa». Un libro intero racconta di questo rapporto spirituale tra un padre e una giovane suora. Ma non c'era più tempo: tra i veli bianchi sembrò passare un soffio d'aria. Grazie, dissi di avermi ascoltato.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: