giovedì 18 febbraio 2016
Era stato allevato in seno a una famiglia cattolica, Giorgio de Chirico, poi come tanti, si era perso per strada, inseguendo le sue aspirazioni di successo e di felicità nell'arte, che tanto amava. Eppure le parole del Vangelo, le sue immagini erano sempre rimaste là, nel fondo dell'anima, come qualcosa di irrinunciabile perché componente essenziale della sua formazione umana e culturale. Così la parabola del figlio prodigo sarà ripetutamente evocata dalle opere dell'artista. E non a caso. De Chirico, infatti, s'identificava con le sue architetture umane: manichini ben curati, perfettamente metafisici, capaci cioè di potente rimando ad altro. S'identificava anche con il protagonista della tela Il ritorno del figlio prodigo. È proprio l'artista, il figlio manichino che ha percorso un lungo tratto di strada, tutto di corsa. Niente ha lasciato al caso, ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, questo figlio ha il corpo di chi pratica culturismo. De Chirico precorre inconsapevolmente i tempi, anticipando quanti, oggi, vogliono un figlio self made, fabbricato secondo i parametri desiderati: quid intellettivo alto, nessuna anomalia fisica; capelli, occhi, profilo perfetto. Tutto secondo le esigenze personali! Alle spalle del figlio-manichino si profila un paesaggio collinare, forse italiano, ma che tanto ricorda anche il profilo, tra monte e mare, di Volos, località natale dell'artista. Dall'altro lato, ecco un edificio rosso, come le architetture di Ferrara, città prediletta da De Chirico. Così la nostalgia di Volos, nostalgia di una terra incontaminata, dove l'intervento dell'uomo è ridotto al minimo e in assoluto rispetto con l'ambiente, e gli impulsi di un presente d'avanguardia, simboleggiati dal palazzo rinascimentale, sono l'ideale sfondo di questo incontro e lo sigillano.Un incontro sorprendente. La corsa del figlio, verso il futuro, si è arrestata di colpo. Tutte le sue pretese di progresso e di autodeterminazione sono lì, di fronte all'imprevisto. È accaduto un fatto inusitato: il padre, simile a una statua greca, ha lasciato la sua ieratica classicità, il suo piedistallo e si è fatto incontro. Nell'articolo Statues, Meubles et Généraux (Il meccanismo del pensiero, p.277-278) De Chirico ebbe a dire che una statua poggiata direttamente sul pavimento, procura un'emozione nuova, in grado di aumentare lo spaesamento e la sorpresa. Niente di più sorprendente, dunque, di una statua poggiata sul selciato della strada! Niente di più stupefacente di un padre che ha lasciato il suo trono ed è andato incontro al figlio il quale, nella sua ricerca di perfezione, ha dimenticato la forza sovversiva della carità e della misericordia. Quanto ci è necessario un ritorno simile a quello del figlio dechirichiano! Sì, dobbiamo pregare che il passato ci venga incontro, che i nostri padri lascino il loro piedistallo, le loro certezze acquisite e si sbilancino verso di noi, figli-manichini incapaci di consegnare il mondo al Caso (che è il Nome laico di Dio). Abbiamo bisogno della carità, per giudicare i desideri indiscriminati del tecnicismo post-moderno, una carità che tenga conto della giustizia, una giustizia che abbia il volto della misericordia. Come il padre di De Chirico che non ha abbassato il tiro, non ha imitato il figlio per compiacerlo nelle sue velleità, ma ha indossato il suo frac e con la signorile serenità di chi è certo del vero, è sceso dal suo piedistallo per offrire al figlio manichino l'abbraccio dell'amore.

Giorgio de Chirico Il ritorno del Figlio prodigo 1922 olio su tela 87×59 cm Museo del Novecento Milano

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI