Dall'omertoso al parolaio, ecco “Volti e maschere" di Sicilia (e non solo)
lunedì 28 febbraio 2022

«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti». Luigi Pirandello ci lascia questa perla di vita che in maniera straordinaria scolpisce l'andazzo dell'umanità. Poche persone autentiche e tanti "attori", a maggior ragione in una società, quella di oggi, social e liquida, sempre più a misura di maschera (oltre che di mascherina), e non solo a Carnevale. Volti, maschere. E "tipi", che fanno la differenza. Quelli di un altro testo da incorniciare in tema di autenticità - da scoprire «sempre a tue spese» - che nel Giorno della Civetta, Leonardo Sciascia, fa elencare al mafioso don Mariano nell'esprimere il suo rispetto per il protagonista del romanzo, il capitano Bellodi: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà... Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo». Ecco. Fra "attori" e tipi siciliani si muove un bel volume, di parole e immagini - dedicato proprio all'«eretico» maestro di Racalmuto nel centenario dalla nascita - del medico-scrittore messinese Giuseppe Ruggeri e del fotografo ragusano, Giuseppe Leone: Volti e maschere di Sicilia (Plumelia edizioni, pagine 86, euro 18,00, con la prefazione di Felice Cavallaro). Qui i protagonisti sono i "personaggi" che abitano l'Isola, con i loro riti, movenze, caratteristiche, posture e atteggiamenti che ne definiscono categorie "universali" e "trasversali". Tipologie dove chiunque troverà il modo di inserire, il vicino, l'amico, il conoscente, il passante, l'impiegato dell'ufficio di turno… Ventuno tipi - volti o maschere? -, dall'Apatico al Chiassoso, dal Lento al Boccalarga, dall'Idolatra al Taciturno, dal Vanesio allo Zio. Un altro richiamo - Gli zii di Sicilia - allo scrittore che «visse e descrisse la Sicilia come metafora del mondo». «Ci siamo sforzati di raccontare volti e maschere di Sicilia - scrivono Ruggeri e Leone nella Postilla al libro, rivolgendosi al maestro Sciascia - sulla scia della passione e del distacco che Lei metteva in tutto grazie a un pensiero sempre lucido e partecipe. Chissà cosa penserebbe adesso della nera notte nella quale brancoliamo, di quel tanto da Lei paventato "sonno della ragione" che ha già generato fin troppi mostri, ultimo dei quali la spregevole resa, di codesta ragione, dinanzi alla paura. Paura di morire ma anche - e soprattutto - di vivere. Vivere senza ombre né scheletri nell'armadio, affrontando la quotidiana sfida con l'imprevedibile che incombe sulle nostre fragili certezze, sulle presunzioni e le superbie che vorrebbero innalzarci e invece ci umiliano perché siamo poco, davvero poco, di fronte al tutto con cui ci misuriamo».

Gli zii e i tipi che Ruggeri descrive sono persone incontrate ogni giorno nel suo cammino professionale e umano. E a cui magistralmente associa l'immagine di figure catturate dall'occhio curioso di Leone, uno dei più acuti narratori della Trinacria, regalandoci fra l'altro quegli scatti meravigliosi dell'amicizia dei grandi nomi della letteratura siciliana: Consolo, Sciascia e Bufalino insieme alla Noce. "Tipi" letterari che hanno reso immortale una visione di Sicilia e che hanno ancora tanto da insegnare alle future generazioni di insulari.

Ruggeri, in una prosa gustosa, presenta i suoi. Ed ecco l'Apatico che se ne sta in «perenne latenza di se stesso in un piccolo angolo del grande mondo che gli si agita intorno», mentre il Dolente passa la vita a «piangere sui propri guai». C'è l'Ubbioso, «pieno di fisime», «che ogni volta sorprendevo a tastarsi dappertutto per verificare se, durante la notte, fosse per caso successo qualcosa di strano al suo corpo». E poi il Garbato, che «ha uno stile tutto suo»: «Non solleva mai lo sguardo oltre un certo limite e mantiene sempre un atteggiamento discreto. Anzi, non si atteggia proprio preferendo planare, con suprema eleganza, sulla rumorosa sciatteria che lo circonda». A nutrilo è «uno spirito aristocratico, una sapiente levità che lo distingue dalla massa. Di tanti garbati pullula l'isola, ma la loro presenza è difficilmente riconoscibile».

Il Garbato

Il Garbato - Giuseppe Leone

E se il Festaiolo «scorrazza per le tortuose vie dei borghi prodigando a piene mani una gaiezza decisamente in contrasto con la natura aspra e scontrosa dei luoghi», non è difficile imbattersi nell'Omertoso, che «ha visto vede vedrà», ma si trincera dietro «la cima dell'indifferenza», comunicando «a modo suo», a «gesti», come a «custodire gelosamente la verità per sé», in «un'isola mutaccia, la nostra, avvezza più al ronzio frusciante dei sottintesi, le frasi non dette, che al trambusto delle parole». Con il suo silenzio, «l'Omertoso ci insegna a guardarci dal torrente delle parole». Quello che travolge in pieno invece il Parolaio, che «si perde nel fiume delle sue stesse parole», «ideale contrappeso degli omertosi». «Nell'isola, la categoria dei parolai abbonda come le messi abbondano in estate. Il potere delle parole è racchiuso nel pugno delle labbra che le pronunciano. Generazioni di parolai hanno gestito quel potere». Nella categoria Ruggeri fa spiccare il Parolaio «vestito da politico», che «esercita un singolare ascendente sugli insulari, i quali godono a farsi trascinare dal torrente delle sue parole. Parole che velano brutture indicibili facendo sembrar vero ciò che non lo è, rendendo visibile l'invisibile, e invisibile ciò che si vede, in un gioco di specchi destinato, forse a durare all'infinito», nell'Isola «irredimibile» di Sciascia (e di Pirandello). Per questo qui le parole le contiamo. Per "misurarle". Sforzandoci di distinguere i volti dalle maschere. Gli uomini dai quaquaraquà.

Una foto (garbata) e 993 parole (con buona pace dell'Omertoso e del Parolaio).

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