domenica 16 ottobre 2011
   Ho scoperto che non avendo mai fatto un concerto in nero ed avendo sempre versato i contributi Enpals sono alla soglia della pensione. Non è mai stata una mia preoccupazione e mi fa sorridere. Del mio essere parte in causa negli ultimi 30 anni di scena musicale posso tracciare il percorso ricorrendo a polaroid da un’altra vita, in altro secolo, altro millennio. C’erano un basso melodico, una chitarra grattugia, una batteriola elettrica, io urlavo sempre. Un nervo scoperto, un’inquietudine fatta corpo; stati di agitazione in forma di canzone. Non professione d’arte ma impulso vitale soggetto a legge naturale: nasce, cresce, decade. Era, “CCCP Fedeli alla Linea”, una teatralità barbarico futurista; la soffocammo tra i calcinacci del muro di Berlino e dissi: - mai più -. Una manciata di canzoni si coalizzò in fronte di resistenza rivendicando un altro spazio vitale. Complice la malattia, tra un ricovero ospedaliero e una convalescenza in tour, la Musica si impose e la Tecnica dettò legge. Sul palco ottomila watt di basso martellante, chitarra armoniosa e chitarra disturbata, tastiere e pianoforte mezzacoda, batteria e percussioni, una voce d’angelo a contenermi ed aggraziarmi. Bello, molto bello il “Consorzio Suonatori Indipendenti” (CSI), ma «oggi è domenica domani si muore» e arriva il lunedì. Non sono nato per fare il cantante. «Ferretti è nato postumo» ha scritto Edmondo Berselli raccontando della sera a Montesole, sotto il firmamento al lume di candele, in cui nacquero i “PGR” (Per Grazia Ricevuta). Lì si evidenziò che la mia volontà è poca cosa, c’è sempre un buon motivo, una bella persona «… e non è ancora finita». Incontri fulminanti col jazz: voce/tromba, voce/trombone, voce/pianoforte; intense frequentazioni con orchestre d’organetti, notti tarantate. Il canto religioso nella tradizione popolare. Il teatro contemporaneo e le serate di letture: viva voce; e la parola smise la veste canzone per farsi libro: “Reduce”, che diventò canovaccio di una messa in scena per due voci maschili, un organetto, un violino ma, incontrollabile, una tensione a tagliare, togliere, scarnificare fino a restare fiato e un suono d’arco per compagnia: “Bella Gente d’Appennino”, 29 dicembre 2007 nella mia chiesa parrocchiale, per i miei paesani. Così personale, così di parte da trovare paesani e chiese ovunque ma anche piccoli teatri, cortili e saloni di palazzi e castelli, radure. Da San Restituto sulle Alpi Occidentali al Castello Normanno Svevo di Bari. Da Palazzo Trinci in Foligno al Nuovostudiofoce di Lugano. Il Duomo di Berceto. La chiesa Anglicana di Napoli e il Folk Club di Torino. Posso elencarne decine su decine, ognuno a sé, tutti degni di nota. Cosa ci faccio io? Ancora? Residuo salmodiante che sussurra, modula, scandisce manciate di scongiuri, preghiere, invocazioni. Cerimoniere di un rito ora “a cuor contento” che nervi scoperti, inquietudini fatte corpi, stati d’agitazione in fibrillazione sono nutrimento di massa e l’incarognimento sembra l’unico comune traguardo. Ricomincio da capo. Un palco, una voce, due suoni: il violino e alternativamente basso o chitarra, la batteria elettronica quando serve. La cadenza si fa fluida s’arrotondano le asperità trova spazio il sorriso e la tensione muove altri percorsi. In queste giornate autunnali tese ad un nuovo equilibrio quotidiano tra ciò che non è più, ciò che resta, ciò che può crescere se trova spazio fertile, un disco e un libro mi hanno fatto compagnia. Due piacevoli sorprese in apparente contraddizione. Montesole, 29 giugno 2001 è tra i miei dischi quello che non avevo mai ascoltato davvero. Il libro è “Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica” di Gianni Baget Bozzo e Pier Paolo Saleri. Tra il disco e il libro, lo spazio di un decennio, è racchiuso il mutare del mio sguardo sul mondo ma, molto di più, ciò che permane perché non ascrivibile all’elenco delle variabili: il mistero della vita a cui fa corona l’arrabattarsi degli uomini che anelano al proprio destino.
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