martedì 14 novembre 2017
Sabato scorso, qui da don Sturzo a Voltaire, sulla «perenne attualità» della fede cristiana, che tuttavia nel corso dei secoli vive anche cambiamenti culturali, politici, economici e perciò accompagna la storia. Identica, la fede, sempre, e sempre coniugata con la realtà che cambia. Fedeltà e cambiamento, dunque. Se non sbaglio – e certo in questo non sbaglio – il tema è attualissimo di fronte alle distorsioni di chi ha letto, legge e vuol far leggere come tradimento e abbandono della fede perenne questo progetto di “riforma cattolica” che papa Francesco nella Evangeli gaudium (n. 32) ha anche definito una «conversione del Papato». Incredibile, ma vero... Conservazione dell'identità di fede e cambiamento del modo di esporla e comprenderla nella storia sono ambedue parte della sostanza del messaggio cristiano e cattolico, da sempre. Tesi azzardata e figlia illegittima del dopo Concilio? No. Proprio aprendo il Concilio lo stesso papa Giovanni XXIII parlò del cambiamento come migliore comprensione nostra, di Chiesa viva, della Parola di Dio ascoltata e vissuta nella storia: la fede resta la stessa anche evolvendo nella nostra comprensione. Lo comprese bene e lo illustrò benissimo il grande beato John Henry Newman, ma forse a sorpresa per qualcuno mi capita di trovare la conferma più chiara di questo binomio, “perennità” e “attualità” nell'insegnamento di Pio XII che trovo citato in esteso da padre Virginio Rotondi, gesuita, forse l'uomo e l'esperto più vicino di ogni altro a papa Pacelli nel suo magistero, alla p. 205 del volume di Carlo Testa, “Padre Rotondi. La battaglie di un gesuita” edito da Rusconi (1993). Citazione testuale di Pio XII: «All'immutabilità dottrinale, dogmatica e morale della Chiesa provvede il Papato, con la sua evidente perennità, alla mobilità di essa, e cioè al suo avanzare con i secoli restando sempre nel suo secolo, provvede la diversità dei Papi». Oggi il Papa si chiama Francesco, e dunque «provvede».
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